Lucia MOTTI e Marilena ROSSI CAPONERI (a cura di), Accademiste a Orvieto. Donne ed educazione fisica nell’Italia fascista 1932-1943

Ponte S. Giovanni, Quattroemme, 1996, pp. 253

Angela Teja

Società Italiana Storia dello Sport

Accademiste a Orvieto. Donne ed educazione fisica nell’Italia fascista 1932-1943 è un testo del 1996 che potrebbe aver determinato un cambio di marcia negli studi sulle donne in Italia. Questi ultimi, nati tra gli anni ’60 e ’70 del secolo scorso dalle istanze dei movimenti femministi in America e poi in Europa, hanno dato vita e nuovi metodi di indagine della società attraverso il riconoscimento del ruolo che le donne hanno avuto nella storia dell’umanità. L’affacciarsi, con questo testo, della storia dello sport (anzi, dell’educazione fisica come specificato nel titolo) femminile nel corso di un trentennio dal debutto di questi studi, ci sembra testimoni come le donne abbiano tra le prime riconosciuto all’esercizio fisico nelle sue varie forme (di educazione fisica, ginnastica, sport, fitness, attività del tempo libero, ginnastica fisioterapica ed estetica ecc.) una importanza, e come vedremo un’attualità, culturale di fondo che ha impregnato la società. Bisogna dunque riconoscere a questo testo il ruolo di doppio spartiacque nella storiografia d’ambito accademico, ed è per questo che a distanza di anni Accademiste a Orvieto mantiene tutta la sua importanza per gli studiosi, per gli storici dello sport e per chiunque lo legga.

Come sostiene Gigliola Fioravanti, che nell’anno della pubblicazione del testo faceva parte della Direzione Generale degli Archivi e che ne firma la Presentazione, l’idea del libro era nata a seguito della donazione all’Archivio di Stato di Orvieto della documentazione, prevalentemente fotografica, del Fondo di Elisa Lombardi (1912-1999), la “Comandante” dell’Accademia Fascista di Educazione fisica femminile di Orvieto tra il 1937 e il 1943, l’anno della sua chiusura. Il libro riporta infatti l’inventario del materiale donato redatto ad opera di Marilena Rossi Caponeri, archivista di Stato ad Orvieto, che con Lucia Motti, ricercatrice dell’Istituto Gramsci, ne ha firmato la curatela.

Il Ministero per i beni culturali e ambientali si era infatti subito reso conto che si trattava di un materiale archivistico prezioso, una donazione importante per il nostro patrimonio culturale. Elisa Lombardi non se ne era mai separata durante tutta la sua vita, e non solo in quella trascorsa all’interno del mondo dell’educazione fisica. Conservato in un baule, come ella stessa aveva sottolineato in più occasioni, anche memorialistiche, se ne era presa cura senza mai staccarsene emotivamente. Affidato a un’assistente di Orvieto al momento della sua andata a Salò dopo l’8 settembre su richiesta di Renato Ricci, il gerarca cui aveva prestato più fiducia, lo portò con sé quando abbandonò molto presto il Servizio Ausiliario Femminile (SAF) e l’insegnamento, “richiamata” in famiglia a Dronero, in provincia di Cuneo. Dotata di capacità manageriali inconsuete per una donna, o perlomeno non frequentemente manifeste all’epoca, Elisa Lombardi riprese a lavorare nel dopoguerra con compiti ancora una volta di comando, questa volta a lei affidati dagli americani. Capo-gruppo dell’UNRRA-Casas, un Comitato che con i fondi americani si occupò dei senza tetto e dei sinistrati della Seconda guerra mondiale costruendo case poi affidate a chi aveva perso tutto, viaggiò per tutta Italia, trasferendosi da Bologna a Roma, quindi a Carrara e poi a Salerno, Sapri, Cassino, infine operò anche in Calabria. In ogni estate, tuttavia, quando tornava a casa, Elisa riordinava il suo baule, lo “rinfrescava” proprio come si fa con il corredo, lei che tra il lavoro (in Accademia a Orvieto) e il matrimonio aveva scelto il primo dedicandosi ad esso tutta la vita, con piglio militare (apparteneva infatti a una famiglia in cui tre fratelli erano generali dell’Esercito) ma anche sportivo, da grande organizzatrice.

Esito dello studio di quei materiali preziosi, Accademiste a Orvieto è ricco di testimonianze delle fedeli allieve della Lombardi, utili a rendere il senso identitario di quel gruppo di donne che, cresciute insieme nell’unica Scuola di formazione per dirigenti femminili che ci sia mai stata in Italia, avevano mantenuto l’amicizia e i reciproci contatti soprattutto grazie al coordinamento della loro “Comandante”, che ogni anno le riuniva a Orvieto nei locali della ormai ex Accademia, ospitate dalla Scuola Militare di Educazione Fisica dell’Esercito che ne aveva preso il posto e, alla sua chiusura, dai Comandi dell’Esercito che ne avrebbero sempre rispettato il ruolo e la fama di dirigente.

Fino a che si giunse alla donazione del Fondo e alla data del 1996, quando l’Archivio di Orvieto allestì una Mostra per valorizzarlo e di cui questo testo è prezioso Catalogo. Tanto più prezioso perché ha determinato un cambio di marcia nella stima e nell’impiego di un materiale (quello archivistico sportivo) ancora poco utilizzato alla fine secolo scorso, e ai nostri giorni in verità ancora poco curato.

Questo è dunque un testo che aiuta a riflettere e a meglio analizzare la storia di un’epoca, quella tra le due guerre, nella quale la storia delle donne è forse tra le più controverse. Ed è proprio il discorso sportivo quello che concorre a metterne in evidenza le contraddizioni, fintamente emancipatorio se non altro in senso collettivo. Si pensi al famoso o.d.g. del Gran Consiglio del 17 ottobre del 1930, giustamente definito “pilatesco” da Gaetano Bonetta che cura la pregevole parte storica di contesto introduttiva al volume (L’uomo è tanto più forte quanto più sana e robusta è la donna’. Cultura ed educazione fisica della donna), o all’ammissione delle studentesse ai Littoriali dello sport con la loro tuttavia contemporanea ghettizzazione in settori specifici, o ancora alla collocazione dell’Accademia femminile di educazione fisica a 100 km da Roma, lontana da quella maschile, con un corpo docente per otto noni femminile, una “Cittadella delle donne” dove l’unico uomo ammesso, oltre al prof. Bettacchi per l’insegnamento della pedagogia, era il giardiniere, e dove chi voleva fare carriera doveva restare nubile. Accademiste, insomma, future dirigenti assai poco “mogli e madri esemplari”.

È Patrizia Ferrara (Corpo e politica: storia di un’Accademia al femminile (1919-1945)) a ricordare, citando numeri e statistiche, il divario esistente tra uomini e donne durante il fascismo, in un cammino che è stato difficile per queste ultime, eppure non impossibile a Orvieto, dove le ex allieve testimoniano di aver potuto dar corso alla loro ricerca di libertà. Ben 62 le interviste rilasciate alle curatrici e depositate presso l’Archivio storico delle donne “Camilla Ravera” della Fondazione Istituto Gramsci tra novembre 1994 e luglio 1996, tutte ricche del senso di appartenenza alla comunità dell’Accademia orvietina, la parte forse più viva e comunque portante del testo, magistralmente descritta da Lucia Motti (Le ‘Orvietine’ e l’Accademia: un’esperienza di confine tra appartenenza e senso di sé) e da Graziella Bonansea (La metamorfosi dell’identità nella scena biografica: il mito dell’Accademia). In particolare in questi due saggi risalta la consapevolezza delle ex allieve di aver frequentato non tanto una scuola fascista quanto una Scuola di vita, con un esito dunque “imprevisto” per le curatrici riguardo la scoperta che le “Orvietine” dichiarassero di avere in fondo raggiunto individualmente una loro emancipazione. Così per certi versi il testo stupisce il lettore che analizza i percorsi formativi delle allieve, alla ricerca di tracce e cammini che si immagina stereotipati trovando invece elementi inattesi, per altro utili all’analisi e alla riflessione sul fascismo nei suoi rapporti con la modernità.

A queste considerazioni il testo mostra come si possano aggiungere tasselli alla storia delle donne attraverso la storia dell’educazione fisica e dello sport, che ben soddisfa “l’idea della necessità di una lettura articolata” del periodo fascista e della storia delle donne che ne ha fatto parte, come sottolinea Lucia Motti in più occasioni. Specialmente quando si sofferma sulla figura di Elisa Lombardi, alla ricerca della “verità storica” e dando la prova più viva e genuina della necessità di scavare tra i documenti, con l’aiuto anche dalla memoria orale.

Trattandosi del Catalogo di una Mostra, l’apparato fotografico è strumento insostituibile, come sottolinea M. Teresa Sega, docente presso l’Istituto veneziano per la storia della Resistenza e della società contemporanea (IVESER), la quale evidenzia (Immagini delle accademiste. Corpi di giovani donne tra pubblico e privato) la distanza esistente tra l’importanza dell’immagine per il fascismo (anche quella delle Accademiste) e, a fine del Novecento, quando è pubblicato questo volume, la ancora “scarsa considerazione attribuita dalla storiografia alle fonti visive che ne sono i principali veicoli”. Le foto del libro aiutano infatti a raccontare la storia e il “mito” dell’Accademia, come spesso riescono a fare le immagini sportive, di frequente leggendarie, oltre che ad approfondire l’analisi di un “fenomeno”, nella fattispecie questa Istituzione da sempre considerata “la Pupilla del regime”. Le foto delle Accademiste, le protagoniste di questo “mito”, diventano dunque valido strumento di analisi dello spazio (in cui le giovani donne si sono trovate a muoversi, imparando e crescendo all’interno di un preciso metodo di formazione) e al contempo del corpo delle future dirigenti del partito, educate a muoversi e ad agire all’interno di una guida finalizzata all’apprendimento tra “valori culturali inscritti e aspetti naturali”. Del loro corpo si può fare difatti una lettura delle caratteristiche pubbliche e di quelle private, nella coabitazione di “tratti individuali e collettivi”, come descrive M. Teresa Sega, l’Autrice di questo saggio tra i più significativi del volume, che ricorda anche come quelle tante immagini spesso fossero fotogrammi del film L’Accademia dei Vent’anni, di Giorgio Ferroni. Realizzato nell’estate del 1940, il documentario (oggi lo definiremmo un docufilm) fu presentato l’anno successivo al Festival di Venezia. Compaiono infatti molti fermi immagine di quella pellicola cinematografica che oggi costituisce una pietra miliare per la storia delle donne in Italia durante il fascismo, alla luce anche del nuovo indirizzo metodologico della Public History, che ha finalmente sottolineato l’importanza delle immagini, diversamente prodotte, ai fini dell’indagine storica, in particolare di comunità e gruppi di persone. Questa ci sembra una chiara risposta dei nostri giorni alle perplessità iniziali di Gigliola Fioravanti da cui siamo partiti. Sta anche in questo la duratura importanza e l’attualità di Accademiste a Orvieto, uno spartiacque nella storiografia delle donne e nella ricerca ad essa applicata. Un testo del quale sarebbe più che opportuna e utile una ristampa.