Renato BLANDA, Giuseppe LEONE,
Gianni ROSSI, Adolfo URSO, Atleti in camicia nera. Lo sport nell’Italia di Mussolini

Roma, Giovanni Volpe Editore, 1983, 302 pp.

Deborah Guazzoni

Società Italiana di Storia dello Sport

Uscito nel centenario della nascita di Benito Mussolini, il volume Atleti in camicia nera. Lo sport nell’Italia di Mussolini viene concepito negli ambienti del Centro Nazionale Sportivo Fiamma, come palesa introduzione dell’allora suo presidente Luigi Meschini. Si trattava quindi di un testo nato in ambienti vicini al Movimento Sociale Italiano, che cercavano il difficile recupero di una memoria di una sorta di “fascismo buono”, realizzatosi secondo gli autori nella “«rivoluzione» sportiva del Ventennio”.

Il libro si apriva con un’intervista del giornalista Gianni Rossi a Vittorio Mussolini, nella quale assistiamo a una mistificazione della realtà sportiva del fascismo. In particolare l’immagine che viene proposta è quella di un fascismo come fattore di accelerazione della crescita sportiva (p. 10), mentre i Ludi Juveniles vengono dipinti come culla dello sport democratico (pp. 8-9); il testo non nega la politicizzazione dello sport dell’epoca, ma la connota come una soluzione compromesso con l’obiettivo di poter accontentare tutti (p.10), tra le attività non agonistiche sostenute dall’Opera Nazionale Balilla e quelle a finalizzazione agonistica promosse da società sportive, federazioni, forze armate e nella Gioventù Italiana del Littorio dell’ultimo periodo. L’immagine di Mussolini sportivo risulta totalmente distorta, e in controtendenza con gli studi più recenti: Mussolini avrebbe pilotato aerei già prima della Grande Guerra, dal 1919 si sarebbe dedicato alla scherma e ai duelli, all’equitazione dal 1922, al motociclismo, al tennis, mentre la pratica di sci e nuoto sarebbero stati parte di una campagna pubblicitaria per consentire la pratica di questi sport ai romani (Ostia, Terminillo) (p. 11). L’intervista a Vittorio Mussolini diventa così una netta esaltazione di quello che fu lo sport durante il Ventennio.

Le successive sei parti, in cui il testo è diviso, sono invece costituite dai saggi degli autori che disaminano l’organizzazione dello sport fascista, le pratiche e le prestazioni agonistiche, con particolare riguardo per quelle olimpiche, sebbene con esiti non sempre confermati dai risultati degli studi più recenti.

Se l’immagine di scarsa continuità con l’eredità liberale della parte prima, intitolata “Alla ricerca dell’uomo nuovo” e scritta da Gianni Rossi, risulta perlomeno anacronistica (pp. 17-35), sono invece apprezzabili l’identificazione di alcuni caratteri peculiari dello sport del periodo fascista, in particolare il suo trasformarsi in fenomeno di massa (pp.41-46) e l’estensione della pratica sportiva alla platea femminile (pp. 56-66). Assai più interessanti risultano invece le successive tre sezioni che consentono una visione d’insieme delle principali istituzioni demandate alla pratica sportiva scolastica, giovanile e dopolavoristica: la seconda, opera di Giuseppe Leone, esamina lo sport fascista nella scuola e nelle università, la terza e la quarta, scritte da Adolfo Urso, prendono in esame rispettivamente le principali organizzazione sportive giovanili del periodo fascista (ONB, GUF e GIL) e quelle dopolavoristiche e militari (OND, gruppi di Arditi, la Scuola Centrale Militare di Educazione fisica, M.V.S.N., divisioni di camicie nere), evidenziando come la pratica sportiva si estenda tra la popolazione italiana in quel periodo.

Risulta ancor oggi interessante l’esame del rapporto tra CONI e istituzioni fasciste della parte quinta di Giuseppe Leone, che ci restituisce il clima di contrapposte tensioni che rimase sotteso nelle relazioni tra istituzioni sportive fasciste e quelle sorte in epoca liberale ma riconosciute dal sistema olimpico, destinate a subire un progressivo processo di fascistizzazione che il saggio segue nei suoi passaggi principali (pp. 143-156), prima di concludersi con una piccola dissertazione sulla fioritura giornalistica specializzata durante il regime (pp. 156-157), l’elenco delle federazioni sportive (pp. 158-159) e l’esame delle principali discipline praticate in Italia durante il periodo fascista (pp. 159-176).

Quantomeno discutibile risulta il saggio conclusivo del giornalista Renato Bianda (pp. 179-221), che, attraverso i risultati agonistici conseguiti dallo sport del Ventennio lascia trasparire il mito del “fascismo buono”, richiamando a sostegno della propria tesi i giudizi politicizzati di Ferretti, Arpinati e Turati e ignorando i risultati agonistici dell’Italia liberale. Grande spazio è dato a conclusione del saggio all’elenco delle imprese dell’aeronautica fascista dal 1924 al 1940.

Di maggiore interesse sono le ultime due sezioni del volume. La settima parte è costituita da una raccolta di immagini dello sport nel Ventennio, che, seppur volte a restituire un’immagine serena e atletica del regime, rappresentano un’interessante testimonianza, peraltro piuttosto rara. L’appendice documentaria raccoglie invece una serie di documenti giuridici relativi alle istituzioni fasciste che possono ancor oggi essere utili agli dagli storici.

Cercando di sintetizzare un giudizio, Atleti in camicia nera risulta essere ancora oggi un volume a tratti di interesse, certamente apologetico del fascismo, e prodotto di quegli anni Ottanta che vedevano il Movimento Sociale Italiano conquistare consensi nel paese, grazie a una politica di opposizione al sistema partitocratico, come dimostra la sua crescita elettorale nel 1983. Al netto dei chiari riferimenti ideologici su cui il volume basa, risulta d’interesse rilevare come, nel periodo in cui il testo fu pubblicato, la storia dello sport restava ai margini degli interessi storiografici (se non ne era del tutto estranea). Dunque, proprio nella storia dello sport giornalisti non avvezzi alle metodologie storiche e identificabili sulla scorta di chiari orientamenti politici trovavano un campo fecondo, attraverso cui promuovere una rilettura più generale del passato nazionale.