La via della spada

Riflessioni per una ricerca sul ruolo politico della scherma italiana e sulle sue relazioni internazionali tra la fine del XIX secolo e la Seconda guerra mondiale

Deborah Guazzoni

Società Italiana di Storia dello Sport


Indice

Lo stato dell’arte nella storia della scherma italiana

Le origini della scherma italiana e la scienza cavalleresca come strumento della sua propulsione internazionale

Dal duello al confronto sportivo

Dalle gare sportive alle competizioni nazionaliste tra nazioni

Il successo dello stile italiano: il caso ungherese e il caso argentino

Le conseguenze dell’emigrazione sulla scherma italiana

Conclusioni


Abstract: The purpose of this essay is to provide some observations on the history of Italian fencing and its role in international relations in order to launch social, political, and cultural historical researches. In particular, the text seeks to highlight how the link between this discipline, which arose primarily as a tool of personal and military defence, and the code of ethics of medieval origin called «chivalrous» has played an important role in the development of this motor practice, as well as its transformation into a recreational and sports activity. It served as a tool for the development of Italian citizens in the post-unification period, as well as a cultural output that was valued and propagated abroad. The presence of Italian fencing masters in Europe and worldwide was a widespread phenomenon until the end of World War II, and it contributed to boost Italy’s reputation outside of its national borders.

Keywords: Italian fencing, International sports relationship, Code of chivalry, Argentina, Hungary

Lo stato dell’arte nella storia della scherma italiana

La ricerca storica sulla scherma italiana, intesa come pratica sportiva, è ancora oggi alquanto ristretta1 e in pratica si può dire che una storia politica e sociale organica di questo sport, simile a quanto già realizzato per altre discipline (es. calcio, pallavolo, ciclismo2), non sia ancora stata scritta. Infatti, la storiografia italiana si è prevalentemente occupata finora della storia della tecnica della scherma: scarni riferimenti di prospettiva più generale si trovano in genere come prologo a manuali di alto valore tecnico3. Un vuoto che stride con l’attenzione riservata al fenomeno del duello, negli ultimi cinquant’anni al centro dell’attenzione di vari studi.4

La bibliografia attualmente esistente è pertanto composta in genere da racconti di singoli episodi, spesso affrontati in modo non sistematico, oppure si tratta di opere che mancano di una ricerca articolata sia su fonti primarie, sia secondarie.

Mancano cioè ricostruzioni che utilizzino appieno l’ampia gamma di materiale disponibile: a partire da quello conservato presso l’Archivio della Federazione Scherma (Roma), riordinato nel 2006 sotto la supervisione della Soprintendenza del Lazio, dagli archivi locali delle società sportive e, specialmente per il focus del presente saggio, l’Archivio Storico Diplomatico del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale a Roma.

Queste problematiche pertanto rendono arduo affrontare la scherma dal punto di vista storico, sia come elemento dei processi sociali e politici interni al paese, sia per darne una prospettiva in termini di storia delle relazioni internazionali, proposito che questo saggio nello specifico auspica di realizzare.

Le origini della scherma italiana e la scienza cavalleresca come strumento della sua propulsione internazionale

Occorre innanzitutto puntualizzare che sin dalle sue origini la scherma non fu considerata uno “sport” nell’attuale accezione del termine, in quanto non praticata con scopi di puro divertimento, di ricreazione o di agonismo incruento. Costituiva invece una disciplina educativa, parte del tradizionale sistema di formazione dei quadri militari e della gioventù aristocratica, in quanto strumento di addestramento militare e di difesa personale. Gli studi sul duello hanno poi messo in luce come “tirar di spada” fosse considerato uno strumento per la difesa del sistema di valori della cultura dapprima aristocratica5 e poi, in età contemporanea, borghese6.

L’Ottocento per la storia della scherma italiana rappresentò un secolo di ridefinizione tecnica della disciplina, poiché nel corso del secolo fu superata quella divisione stilistica tra Nord e Sud, che fino a metà secolo trovava corrispondenza in una reale divisione geopolitica del territorio e che dopo l’Unità coincise con una forma di dualismo socio-economico7.

La divisione nei sistemi di scherma perdurò fino a fine secolo ed emerse con forza nelle vicende per l’istituzione di un’accademia militare italiana, che avrebbe dovuto supportare la creazione del nuovo esercito nazionale8. L’esistenza di due scuole schermistiche, in competizione tra loro e legate a stili diversi – quello del Nord, che cercava una mediazione con l’insegnamento francese, e quello del Sud, di stampo napoletano e avverso a qualsiasi elemento straniero9 – venne sanata solo con la creazione della Scuola Magistrale di Roma nel 1884, della quale divenne direttore il maestro napoletano Masaniello Parise10, il cui testo era già stato adottato per l’insegnamento di scherma militare a partire dal 188311. L’Accademia nazionale di Scherma di Napoli ottenne invece nel 1888 la facoltà di rilasciare diplomi magistrali per l’insegnamento della disciplina12.

Da questo duplice circuito formativo di matrice napoletana uscirono parecchi atleti, che esportarono all’estero lo stile italiano. Tra questi furono Eugenio Pini13, Agesilao Greco14, Nedo Nadi15 e Candido Sassone16 a Buenos Aires17, Italo Santelli a Budapest18, Ettore Schiavoni a Berlino19, Luigi Barbasetti a Vienna20, Luigi Della Santa a Vienna e a Sofia (il suo sistema fu adottato nel 1897 anche dall’esercito serbo)21, Franco Vega a Tunisi22, Giuseppe Magrini a Londra23, Arturo Gazzera a Offenbach24, Alfredo Angelini a Praga e nella Ruhr e poi a Paderborn in Renania25 e Francesco Tagliabò a Francoforte sul Meno26.

L’emigrazione delle maestranze schermistiche fu favorita dalla generale domanda di istruttori italiani, il cui apprezzamento era legato non solo alle loro capacità tecniche, ma anche al fatto di essere portatori di quella “scienza della cavalleria” che si sviluppò in Italia nel XIX secolo e che ebbe influenza nel resto d’Europa per due elementi: la tecnica di scherma e il corpus etico-giuridico ad essa collegato27. Con “scienza cavalleresca” si intende infatti un’etica del combattimento a salvaguardia del nucleo di valori fondanti della società civile, ispirata alla tradizione medievale e seicentesca28. Proprio il legame con queste origini

ha offerto un paradigma psicologico e sociale di distinzione che ha permesso l’assorbimento e la cooptazione dei nuovi arrivati già affermati, pur mantenendo livelli critici di esclusione contro la stragrande maggioranza della popolazione. Questa dimensione culturale è importante per capire le élite dominanti in Italia, che hanno costantemente eluso la facile categorizzazione secondo modelli di definizione economica o ideologica di classe29.

Allo stato attuale degli studi storici sulla scherma risulta tuttavia difficile identificare se questi sviluppi corrisposero direttamente a un progetto delle istituzioni politiche italiane volte ad accrescere l’influenza nazionale nelle corti e nelle gerarchie militari straniere nel corso XIX secolo.

Dopo il 1861 la scherma e il suo codice d’onore giocarono un ruolo importante nella formazione e nel funzionamento del nuovo Regno d’Italia. In particolare, la scherma offrì un modello comune e un elemento fondante dell’identità maschile per le élites del paese e una rappresentazione di disciplina morale e di valore marziale dallo spiccato carattere secolare, che coincise con la fine del potere temporale del pontefice e con la nascita dello stato unitario30. Per molti militari e ufficiali del nuovo Regno, la scherma divenne pertanto un modo per difendere il proprio onore e per estensione quello del loro paese31.

Il caso forse più famoso di identificazione tra onore nazionale e scherma è rappresentato dal duello tra il Conte di Torino e il principe d’Orléans nel 1897. Enrico d’Orléans (1867-1901) aveva denigrato nel corso di una corrispondenza dall’Abissinia per il giornale «Le Figaro» di Parigi il valore dei soldati italiani dopo la sconfitta di Adua, accusandoli di viltà e codardia. La posizione del nobile francese si inseriva nel quadro del peggioramento delle relazioni fra i due paesi, seguite alla guerra franco-prussiana e alla fine dell’impero di Napoleone III che avevano aperto all’Italia l’opportunità della presa di Roma (1870).32 Tensioni che si sommavano poi alla politica commerciale e coloniale tentata dall’Italia crispina verso i territori nordafricani33. Vittorio Emanuele di Savoia-Aosta, conte di Torino (1870-1946), secondogenito del Duca di Aosta e nipote di re Umberto I, dapprima intimò a Enrico d’Orléans di scusarsi delle calunnie contro gli italiani e poi, di fronte al diniego del francese, lo affrontò in duello a Vaucresson, presso Versailles, riscattando con la vittoria l’onore italiano. L’episodio fu celebrato largamente dalla stampa italiana, creando un vero e proprio mito che servì alla politica di rafforzamento dell’immagine della monarchia sabauda34.

Dal duello al confronto sportivo

Il cambiamento realizzatosi con l’unificazione coincise anche con l’inizio di un percorso per il graduale superamento del fenomeno del duello, partito con il dibattito sulla sua liceità35. L’opposizione al duello dimostrò come l’individualismo nella difesa personale e nella tutela del codice d’onore fosse intesa come divergente rispetto alla gestione dei conflitti da parte dello Stato e rispetto agli stessi interessi del Regno. Ciò si tradusse nella legge contro il duello del 1875, che tuttavia trovò una difficile applicazione. Anzi molto spesso la stessa politica italiana tendeva a risolvere confronti parlamentari e dispute con duelli36. Uno dei casi più clamorosi a riguardo fu quello del 1898 a Roma, quando si sfidarono Ferruccio Macola, direttore della «Gazzetta di Venezia», e il deputato Felice Cavallotti, baluardo della sinistra liberale, morto proprio nello scontro. Una fine che indebolì la sinistra parlamentare e contribuì a quella crisi di fine secolo che scosse le fondamenta del sistema liberale ottocentesco37.

Negli ultimi decenni dell’Ottocento venne intanto sostituendosi al duello nell’immaginario collettivo il torneo o gara sportiva, che si rivestì fin dall’inizio di forti significati nazionalistici38. A livello internazionale la celebrazione delle vittorie in confronti sportivi con avversari stranieri nascondeva il desiderio del paese di conseguire lo sperato riconoscimento internazionale dello status di “grande potenza”. Un esempio può considerarsi il torneo internazionale del 17 giugno 1889 presso il Grand Hotel di Parigi, che oppose la delegazione italiana, composta da Agesilao Greco, Carlo Pessina, Carlo Guasti e Foresto Paoli, a quella francese, formata da Ruzé Junior, Emile Mérignac, Camille Prévost, George Robert, Alphonse Kirchhoffer e Charles Pons39. Questa competizione sportiva con i campioni francesi trovava il suo parallelo politico nello scontro per il dominio sul Nord Africa tra i due stati, riacceso proprio agli inizi dell’anno con il tentativo di espansione italiana in Abissinia e la stipula del Trattato di Uccialli (2 maggio 1889). In tal senso nell’immaginario collettivo ebbero fortuna anche le competizioni di Eugenio Pini con i maggiori maestri francesi, che gli valsero il soprannome di diable noir per l’abito nero con cui gareggiava40.

Il conflitto con la Francia per la superiorità schermistica si inasprì tra fine Ottocento e inizio Novecento41: esemplare fu la disputa del 1902, sorta in preparazione di una grande accademia internazionale di scherma, che oppose Franco Vega e Francesco Pessina ad Alphonse Kirchhofer e Lucien Merignac42. Si trattò di una vertenza sulle regole da rispettare, che rispecchiava la diversità dei codici cavallereschi dei due paesi: la scherma faceva parte del patrimonio culturale e identitario delle due nazioni e pertanto nessuno dei contendenti intendeva cedere43. Le trattative portarono al duplice scontro del 18 dicembre 1902 a Nizza presso la villa del conte Rohozinsky, che non consentì di stabilire la supremazia di alcuna delle due scuole44.

In ogni caso in quegli stessi anni la scherma italiana trovò ampia rappresentazione nelle gare sportive, considerate veri e propri spettacoli e pertanto inserite costantemente nel contesto delle manifestazioni pubbliche di carattere laico45. Infatti, la politica delle feste, che fu perseguita nel periodo post-unitario, sia dal ceto dirigente, sia dalla famiglia reale, si inserì nel processo di costruzione di un genere di vita sociale unitaria, accentrata e uniforme, uno scenario necessario all’immagine di una nuova Italia a cui lo sport non rimase estraneo46.

Dalle gare sportive alle competizioni nazionaliste tra nazioni

A segnare il definitivo affermarsi in Italia della scherma come sport contribuirono le Olimpiadi. La prima partecipazione di schermidori italiani alle Olimpiadi risaliva all’edizione di Parigi del 1900, dove parteciparono Antonio Conte, trasferitosi da anni a Parigi, e il ligure Italo Santelli.

Gli schermidori italiani parteciparono anche alle edizioni di Atene 1906 (giochi olimpici intermedi) e di Londra 1908, ma con risultati modesti47. Fu proprio in quest’ultima edizione che emersero le gravi difficoltà organizzative della rappresentativa italiana: questo spiega perché nel 1909 si assistette alla nascita della Federazione Italiana Scherma (F.I.S.), la cui costituzione era già stata tentata a Pavia nel 1902 con scarso successo48.

Furono infatti la migliore organizzazione, favorita anche dall’abilità e dalla competenza di Carlo Montù, allora presidente della Federazione e membro italiano del CIO49, e le doti atletiche di Nedo Nadi a consentire il riscatto nazionale nel corso delle Olimpiadi di Anversa del 1920, dove l’Italia conquistò cinque medaglie d’oro e un argento50.

Con la Marcia su Roma e l’avvento del fascismo nel 1922, anche nel mondo della scherma italiano crebbero le tendenze nazionaliste, insieme alla proliferazione di misure volte a umiliare gli stranieri, specialmente i francesi. L’avvento di Mussolini aveva rappresentato un cambiamento di tono e di priorità nella politica estera italiana (esasperazione politica di potenza e di prestigio nazionale, inasprimento della critica alla Società delle Nazioni, elaborazioni di concetti politici aggressivi come quello di Mediterraneo inteso come “lago italiano”, esasperazione delle ambizioni africane), anche se la situazione internazionale, oramai stabilizzata, non lasciava grandi margini di manovra a Roma, frustrando le aspirazioni coloniali italiane51. Inoltre, all’indomani della ratifica degli accordi di Santa Margherita (febbraio 1923), che segnarono il rapido abbandono della linea politica di Giolitti e di Carlo Sforza verso la Jugoslavia, vi fu un ritorno alla tradizionale intesa italo-britannica, con ripercussioni, di riflesso, sui rapporti italo-francesi52. In questa situazione il francese Lucien Gaudin, noto per aver battuto nel 1922 a Parigi il campione nazionale italiano Nedo Nadi, si scontrò a Roma il 26 maggio 1923 con Candido Sassone. L’evento doveva essere per gli organizzatori puro spettacolo accademico, senza vincitori, ma il pubblico portò Sassone in trionfo, come se avesse vinto. Un episodio che quasi causò un incidente diplomatico, risolto qualche giorno dopo dai giornali, i quali incolparono dell’incidente il pubblico, incapace di guardare le gare internazionali in modo obiettivo53.

La tensione tra francesi e italiani si accese negli anni successivi nelle competizioni ai Giochi Olimpici. L’edizione di Parigi del 1924, segnata anche dagli eventi della crisi di Corfù dell’estate 1923, segnò il risveglio dell’ostilità tra i due paesi e diede l’occasione di riscossa per i francesi, favoriti negli arbitraggi in quanto padroni di casa. In particolare, le vicende della squadra italiana di sciabola, caratterizzate da atteggiamenti di alterigia e di disprezzo delle regole, furono significative di questo antagonismo: la squadra fu squalificata e l’atleta Oreste Puliti interdetto permanentemente dalle gare olimpiche. La disputa, sebbene sorta per un contrasto con la rappresentanza ungherese, fu condizionata dal fatto che la Federazione schermistica internazionale (FIE) fosse una roccaforte francese e dalla sottesa competizione culturale tra la scuola schermistica francese e quella italiana54. Alle Olimpiadi di Amsterdam del 1928 Lucien Gaudin si assicurò l’oro nella spada e nel fioretto individuali, lasciando l’Italia ad accontentarsi dell’oro nelle gare a squadra di fioretto e spada55.

Il successo dello stile italiano: il caso ungherese e il caso argentino

I giochi olimpici sancirono anche il successo dello stile schermistico italiano esportato all’estero grazie all’opera di alcuni maestri italiani. Un esempio può considerarsi la squadra ungherese, che a partire dall’edizione di Londra del 1908 iniziò a raccogliere medaglie e si dimostrò nel tempo una compagine di altissimo livello.

A occuparsi della formazione degli atleti magiari fu Italo Santelli, che si trasferì da Firenze a Budapest e fondò la propria scuola nel 1896. La sua attività in Ungheria consentì alla scherma magiara di raggiungere i vertici internazionali della disciplina56. Tale successo, durante il periodo fascista, compromise però i rapporti del maestro italiano con il suo paese d’origine, tanto da diventare agli occhi dell’opinione pubblica italiana un antipatriota e da vedersi cancellato per rappresaglia ad opera del CONI l’argento del 1900 dal medagliere azzurro. Una decisione presa in seguito ai Giochi Olimpici di Parigi del 1924, poiché, nel corso di un diverbio tra francesi e italiani nella gara individuale di fioretto, Santelli era intervenuto traducendo le ingiurie italiane a danno del giudice Kovács, contribuendo così alla squalifica dell’atleta Oreste Puliti. La scuola del maestro italiano a Budapest subì poi gravi colpi durante la Seconda guerra mondiale e Santelli morì di stenti negli ultimi giorni dell’assedio sovietico alla città57.

L’influenza della scherma italiana fu di grande importanza anche in Argentina, paese che riuscì per la prima volta alle Olimpiadi del 1928 a vincere una medaglia olimpica in questa disciplina, ovvero il bronzo nel fioretto a squadre. La tradizione dell’insegnamento italiano nel paese risaliva al 1897, quando Scipione Ferretto aveva proposto a Eugenio Pini di dirigere i corsi di scherma della Scuola di Ginnastica e Scherma dell’esercito argentino, fondata nel settembre 1891 a Buenos Aires, e, parallelamente, di dirigere la sala di scherma del Jockey Club, esclusivo circolo frequentato da uomini di governo, dall’alta borghesia e dell’aristocrazia argentine58. Buenos Aires era una città infatti orfana di una tradizione schermistica, carente di spazi istituzionali e tornei capaci di espandere la pratica delle armi bianche59.

L’arrivo di maestri stranieri si inquadrava in un tentativo di “civilizzazione” dell’alta società argentina attraverso l’europeizzazione di gusti e pratiche, intesa come superamento del passato “barbaro” o “creolo” e come supporto di pratiche simboliche di distinzione sociale60 nel panorama del nation building argentino. Il ruolo di questi insegnanti fu essenziale, inoltre, al generale rinnovamento dell’esercito argentino, nel contesto di nuove politiche che avevano portato all’introduzione della coscrizione obbligatoria nel 1895 e al riarmo del paese61. L’attività di Pini si estese anche al Cile, dove nel 1900 organizzò la Escuela militar de gimnasia y esgrima62.

Suo successore per qualche anno nell’incarico in Argentina fu poi Nedo Nadi, che in quel paese fu allenatore al Jockey Club e iniziò l’attività giornalistica; tornò in Italia nel 1923 con un cospicuo conto in banca63. Anche il siciliano Agesilao Greco, amico personale del presidente Roca, si trasferì in Argentina nel 1898 e vi rimase circa un decennio, rivestendo l’incarico di direttore schermistico della Scuola di Guerra64. Nel 1924 venne chiamato in Argentina Candido Sassone, che in quell’anno era stato direttore tecnico della squadra italiana alle Olimpiadi65. L’emigrazione di questo campione si spiegava con i lauti compensi offerti dall’Argentina: Sassone stesso dichiarò nel 1924 che, a differenza dell’Italia, il contratto argentino gli offriva 100.000 lire l’anno per due ore di lezione al giorno e piena libertà di impartire lezioni private66. Nel caso di Sassone, tuttavia, un ruolo rilevante lo ebbe anche il governo fascista, che, nel quinquennio 1922-1926 mantenne una continuità con le politiche migratorie prefasciste67 e spinse per l’inserimento del maestro italiano nella società argentina, in funzione propagandistica68.

A favorire l’arrivo di questi maestri fu anche il bisogno della classe dirigente argentina di mantenere tra le due guerre legami anche culturali con l’Italia e, per suo tramite, con la Germania, bilanciando la sudditanza dell’economia nazionale al capitale inglese, specie dopo la crisi economica successiva al crollo di Wall Street nel 192969. Il loro inserimento fu poi favorito dalla presenza di una rete di associazioni, circoli, club e banche create e utilizzate da compatrioti. Queste istituzioni, tra cui si annoverava il Club Italiano, sorto nel 1898 e corredato dal 1900 di una sala d’armi70, furono determinanti per esportare i prodotti culturali italiani, che includevano letteratura, teatro, opera e anche sport71.

Gli italiani ebbero anche un ruolo importante nell’organizzazione sportiva argentina: Eugenio Pini nel 1920 fu tra gli organizzatori del primo Comitato olimpico nazionale argentino e, con l’appoggio delle società sportive e dei maestri di scherma argentini, fondò gli allora celebri Batallones escolares72. Fu inoltre nel 1924 il primo segretario generale della Federazione argentina di scherma e, in occasione della X Olimpiade del 1932, fu nominato assessore nella commissione tecnica della Federazione, al fine di selezionare gli atleti da inviare alla competizione73. Anche Candido Sassone ebbe un ruolo importante come tecnico accompagnatore della squadra argentina alle Olimpiadi di Amsterdam del 1928 e come insegnante della Escuela de Gimnasia y Esgrima del Ejército74.

Le conseguenze dell’emigrazione sulla scherma italiana

L’emigrazione di questi atleti impoverì la scuola di scherma italiana e compromise le capacità della dirigenza tecnica nazionale, condizione che venne a sommarsi con la fine della Seconda guerra mondiale a notevoli difficoltà di organizzazione. A tal riguardo il presidente della Federazione Giuseppe Mazzini affermava:

Ci sono problemi da risolvere, non so quale più importante e assillante degli altri. Di tutti non ci possiamo occupare nello stesso tempo, se non vogliamo arruffare la matassa più che non lo sia attualmente. Non c’è Statuto, e bisogna che ci sia. Non ci sono squadre preparate, non ci sono programmi precisi. Esiste un problema magistrale pauroso al quale bisogna provvedere75.

Tale situazione ebbe gravi conseguenze già alle Olimpiadi di Londra del 1948, dove l’unica medaglia d’oro della scherma italiana fu quella di Gino Cantone, un atleta che era riuscito ad essere selezionato per la gara individuale di spada, nonostante le vittorie nette alle eliminatorie, solo prendendo letteralmente per il bavero Mazzini e ottenendo che la scelta fosse decisa tirando a sorte76.

La vittoria di Cantone si può collegare anche alla sua formazione avvenuta nella scuola di scherma dall’ex olimpionico Marcello Bertinetti77 e del maestro Francesco Visconti, che avevano saputo resistere alle offerte di emigrazione in Argentina di Candido Sassone78. Tuttavia, anche Cantone prese la via dell’Argentina, ma in qualità di imprenditore: abbandonò infatti la scherma, forse perché disgustato dalla burocrazia sportiva italiana79.

La crisi della scherma italiana postbellica corrispose anche alla decadenza dell’immagine dell’Italia dopo il conflitto mondiale ed emerse anche nella storia del cinema hollywoodiano. Dopo la guerra Aldo Nadi, fratello di Nado, si trasferì negli Stati Uniti e aprì a Los Angeles la “Aldo Nadi Fencing Academy”, proprio negli anni del trionfo dei cosiddetti “film di cappa e spada”, ma la sua attività non andò oltre a qualche comparsa e a qualche consulenza di coreografia. Sullo schermo, infatti, lo stile italiano non trovò una vera affermazione80.

Conclusioni

Il saggio ha permesso di porre in evidenza come, sebbene le origini italiane della disciplina siano da collegarsi a pratiche di difesa personale e di distinzione culturale, la diffusione della scherma come sport sia stata collegata strettamente al corpus etico ad esso connesso chiamato “codice cavalleresco”. Un codice che incarnava i valori del nuovo cittadino italiano postunitario e permise la diffusione dello stile italiano anche oltre i confini nazionali. In particolare, la pratica schermistica ha rappresentato un prodotto culturale estremamente apprezzato all’estero, al pari di letteratura, musica, teatro, e da ciò deriva la richiesta di insegnanti italiani di scherma in tutto il mondo.

Sebbene non sia possibile al momento comprendere nel dettaglio quale ruolo politico questi personaggi svolsero nei paesi d’immigrazione, la vicenda di questi schermidori emigranti, maestri nei circoli dove l’élite imparava le fondamenta della disciplina, costituisce una prospettiva storiografica di grande interesse che non può essere sottovalutata. A questo stato degli studi, sulla scorta dei casi meglio conosciuti, ovvero quelli argentino e ungherese, è tuttavia possibile evidenziare che la caratterizzazione nazionale di questi insegnanti li trasformò in ambasciatori non istituzionali dell’Italia all’estero, in quanto portatori di una tradizione italiana che non era solo tecnica ma anche etica, e in tal senso va letto il loro contributo alla creazione dell’immagine internazionale dell’Italia almeno fino alla Seconda Guerra Mondiale.

Dopo il conflitto il peggioramento della considerazione politica dell’Italia nel contesto internazionale, dove sostanzialmente si affacciò come stato sconfitto, si rispecchiò anche nella crisi della scherma nazionale, che si accompagnò al tramonto dell’influenza degli insegnanti italiani di scherma all’estero, tanto che la loro influenza si dimostrò piuttosto modesta anche negli sviluppi dell’industria hollywoodiana dei film “di cappa e spada” negli anni ’50.


1 La questione risulta evidente anche nella disamina della storiografia della scherma in F. Orsini, Lineamenti di storiografia della scherma, in La storiografia dello sport in Italia. Lo stato dell’arte, indagini, riflessioni, Quaderni della SISS, v. 3, Siena, Nuova Immagine, 2014, pp. 113-123. Il problema è sollevato anche da Gabriele Fredianelli, che definisce l’approccio storico alla scherma come “divulgativo”. G. Fredianelli, Storia e storie della Scherma. 600 anni di sfide, assalti, duelli, Bologna, Odoya, 2018, p. 10.

2 Su queste discipline cfr. A. Papa, G. Panico, Storia sociale del calcio in Italia, Bologna, il Mulino, 1993; D. Serapiglia, Uno sport per tutti. Storia sociale della pallavolo italiana (1918-1990), Bologna, Clueb, 2018; S. Pivato, Storia sociale della bicicletta, Bologna, il Mulino, 2019.

3 Fredianelli, Op. cit., p. 10.

4 Solo per citarne alcuni: S. Giuntini Scherma, duello e politica in Italia dopo l’Unità, Torino, Bradipolibri, 2021; I. Gambacorti, G. Paolini, Incontri di carta e di spada. Il duello nell’Italia unita tra storia e letteratura, Pisa Ospedaletto, Pacini, 2019; N. Guarino, Doveri e onore. Il duello a Napoli (1861-1952), Cantarano, Aracne, 2012; S.C. Hughes, Politics of the Sword. Dueling, Honour and Masculinity in Modern Italy, Columbus, Ohio State University, 2007; M. Cavina, Il sangue dell’onore. Storia del duello, Roma-Bari, Laterza, 2005; M. Peltonen, The Duel in Early Modern England. Civility, Politeness and Honour, Cambridge, Cambridge UP, 2003; P. Brioist, H. Drévillon, P. Serna, Croiser le fer. Violence et culture de l’epée dans la France moderne, Seyssel, Champ vallon, 2002; Duelli, faide, rappacificazioni. Elaborazioni concettuali, esperienze storiche, a cura di M. Cavina, Milano, Giuffrè, 2001; U. Frevert, Men of Honour. A Social and Cultural History of the Duel, Cambridge, Polity Press, 1995; V.G. Kiernan, Il duello. Onore e aristocrazia nella storia europea, Venezia, Marsilio Editori, 1991.

5 Frevert, Op. cit., pp. 10-13 e Kiernan, Op. cit., pp. 13-14.

6 A tal riguardo cfr. Hughes, Op. cit., pp. 134-171 e Gambacorti, Paolini, Op. cit., pp. 80-92. e M. Donini, Anatomia dogmatica del duello. L’onore dal gentiluomo al colletto bianco, in Duelli, faide, rappacificazioni. Elaborazioni concettuali, esperienze storiche, a cura di M. Cavina, cit., pp. 191-236.

7 A tal riguardo si vedano le riflessioni di F. Fabrizio, Dal M° Giuseppe Radaelli al M° Marcello Lodetti, in Maestro Marcello Lodetti, tradizione azione rivoluzione nella scherma, Milano, Sedizioni, 2013, pp. 15-16.

8 La Federazione italiana scherma compie cento anni. 1909-1940, t. I, a cura di G. Toràn, Busto Arsizio, Nomos, 2009, pp. 49-50.

9 Fredianelli, Op. cit., p. 53.

10 F. Fabrizio, Op. cit., pp. 15-24; La Federazione italiana, cit., pp. 49-55 e W.M. Gaugler, Storia della scherma. Le basi della moderna scherma europea, Busto Arsizio, Nomos, 1998, p. 226.

11 L. Tondelli, La chiusura della scuola magistrale di scherma in un’interrogazione parlamentare alla vigilia dell’entrata in guerra dell’Italia, in Lo sport alla Grande Guerra, Quaderni della SISS, v. 4, Siena, Nuova Immagine, 2014, pp. 309-310; La Federazione italiana, cit., pp. 59-63 e Gaugler, Op. cit., p. 226.

12 Fredianelli, Op. cit., pp. 54-55.

13 Ivi, p. 135-137; A. Cotronei, Eugenio Pini, in «Bollettino di Informazioni della Federazione Italiana di Scherma» (d’ora in poi BIFIS), 15 Settembre 1949, p. 3 e N. Nadi, Con la maschera e senza: schermidori che ho incontrato sulla pedana, Milano, La Gazzetta dello Sport, 1933, pp. 257-262.

14 Fredianelli, Op. cit., pp. 149-152 e Gaugler, Op. cit., p. 341-343.

15 Sulla figura di Nedo Nadi cfr. G. Alvi, La vanità della spada. Vita e ardimenti dei fratelli Nadi, secondo gli appunti di Miss Lisbeth Maples e gli scritti di loro medesimi, Milano, Mondadori, 2008; A. Santini, Nedo Nadi. Personaggi retroscena duelli della grande scherma italiana, Livorno, Belforte editore, 1989 e R.F. Nadi, Nedo Nadi, l’alfiere dello sport delle tre armi nel mondo, Genova, SAGEP, 1969.

16 Per un profilo generale fino al 1921 di Candido Sassone, si veda Candido Sassone, in «La Stampa Sportiva», 26 marzo 1922, e per il periodo successivo si veda Morto a Buenos Aires lo schermidore Sassone, in «Stampa Sera», 28-29 aprile 1956.

17 Sull’influenza dei maestri italiani in Argentina si veda anche E. Pini, Historia de la Esgrima argentina en la X Olimpiada de Los Angeles, Buenos Aires, Talleres Gráfícos Gadola, 1932.

18 Fredianelli, Op. cit., p. 146-148.

19 Gaugler, Op. cit. p. 227.

20 Fredianelli, Op. cit., pp. 138-139 e Gaugler, Op. cit., p. 281.

21 Ivi, p. 56; La Federazione italiana, cit., p. 52; F.M. Trombini Due grandi scomparsi. Il maestro Barbasetti ed il maestro Santelli, in «BIFIS», 4 (1947), p. 8.

22 A. Pezzana, Franco Vega non è più, in «BIFIS», 15 febbraio 1953, p. 3.

23 E.D. Morton, A-Z of Fencing, London, Macdonald, 1988, pp. 156-162.

24 En garde! Allez! Touché! 100 Jahre Fechten in Deutschland – eine Erfolgsgeschichte, her. A. Schirmer, Aachen, Meyer&Meyer, 2012, p. 32; R. Cohen, L’arte della spada. La storia della scherma tra gladiatori, moschettieri, samurai e campioni olimpici, Milano, Sperling & Kupfer Editori, 2003, p. 340. Gazzera è noto per essere stato l’allenatore di Helene Mayer, atleta di origini ebraiche che gareggiò per la Germania nazista nelle Olimpiadi del 1936.

25 A. Pezzana, Rassegna di critica schermistica del Maestro Alfredo Angelini, in «BIFIS», 15 gennaio 1951; Id., Alfredo Angelini è morto, in «Scherma. Bollettino mensile della F. I. S.», Marzo 1956, p. 7.

26 A. Angelini, La morte del Maestro Francesco Tagliabò, in «BIFIS», 15 gennaio 1951, p. 7.

27 Hughes, Op. cit., pp. 6-19.

28 G. Angelozzi, C. Casanova, La nobiltà disciplinata. Violenza nobiliare, procedure di giustizia e scienza cavalleresca a Bologna nel XVIII secolo, Bologna, Clueb, 2003, p. 62 e Peltonen, Op. cit., pp. 18 e 228-229.

29 Hughes, Op. cit., p. 7, citazione tradotta dall’autrice.

30 Ivi, p. 6.

31 Kiernan, Op. cit., p. 330 e Hughes, Op. cit., pp. 94-95.

32 A. Battaglia, L’Italia senza Roma. Manovre diplomatiche e strategie militari (1865–1870), Ariccia, Aracne, 2015, pp. 149-185

33 Per un quadro generale sulle relazioni italo-francesi di fine secolo cfr. E. Serra, De la discorde à l’entente: Camille Barrère et l’Italie (1897-1924), Paris, Direction des Archives, 2023, pp. 13-37.

34 Cfr. Cavina, Op. cit., pp. 250-252; G. Artieri, Roghi e duelli. Eretici, martiri, provocatori, Milano, Mondadori, 1993, pp. 224-225; A. Amante, Un Duello per l’Italia. Vittorio Emanuele conte di Torino, Torino, Superga, 1952 e I verbali della vertenza d’onore Savoia-Orléans, in «La Stampa», 16 agosto 1897. Si noti che i secondi del conte di Torino rifiutarono l’offerta di usare la pistola, perché considerata strumento non degno di due rampolli di antiche famiglie sovrane di guerrieri.

35 A riguardo cfr. Guarino, Op. cit., pp. 26-34 e Hughes, Op. cit., pp. 213-265.

36 Ivi, pp. 126-134 e J. Gelli, Duelli mortali, Hoepli, Milano, 1928, pp. 241-361.

37 Hughes, Op. cit., pp. 171-176; G. Candeloro, Storia dell’Italia moderna. t. 7, La crisi di fine secolo e l’età giolittiana, Milano, Feltrinelli, 1980, p. 54 e Gelli, Duelli, cit., pp. 329-356.

38 Fredianelli, Op. cit., p. 55-56.

39 Gaugler, Op. cit., p. 285-287.

40 G. Guarnotta, Spadaccini Amaranto. Il Circolo Fides e la storia del movimento schermistico livornese, Livorno, Circolo Scherma Fides Livorno, 2011, pp. 15-17.

41 A dimostrazione vedi J. Gelli, A traverso la scherma. Le sfide e i maestri, in «L’illustrazione Italiana», 1 dicembre 1902, pp. 447-453.

42 Id., La vertenza Franco-Italiana, in «La Stampa Sportiva», 7 dicembre 1902, p. 11.

43 Ibidem e Recentissime da Parigi. Kirchhoffer e Merignac sfidano a duello due maestri italiani, in «Corriere della Sera», 27-28 Novembre 1902.

44 Si veda a riguardo il fotoreportage I duelli Vega-Kirchhoffer e Pessina-Merignac a Nizza, in «La Tribuna Illustrata», 28 dicembre 1902, pp. 622-623 e Il doppio duello italo-francese, in «La Stampa Sportiva», 28 dicembre 1902.

45 M. Ridolfi, Feste civili e religioni politiche nel «laboratorio» della nazione italiana (1860-1895), in «Memoria e ricerca», ٥ (1994), p. 108.

46 A. Falassi, Feste, teste, tempeste, in La festa, a cura di Id., Milano, Electa, 1988, pp. 9-29 e S. Pivato, I terzini della borghesia. Il gioco del pallone nell’Italia dell’Ottocento, Milano, Leonardo, 1991, p. 136.

47 Fredianelli, Op. cit., p. 65-71. L’Italia in tali occasioni portò a casa l’argento di Carlo Gandini e il bronzo di Federico Secondo Cesarano e un argento nella gara a squadre a sciabola.

48 La Federazione italiana, cit., pp. 83-84.

49 Sulla figura di Carlo Montù si veda A. Lombardo, La nascita del CONI. Una nuova interpretazione (1913-1921), in Il CONI nella storia dello sport e dell’Italia contemporanea, a cura di F. Bonini, A. Lombardo, Roma, Studium, 2015, pp. 12-31; D. Guazzoni, La diplomazia vercellese nel Comitato Olimpico Internazionale: i casi di Eugenio Brunetta d’Usseaux e Carlo Montù, in Sport e rivoluzione, a cura di D.Guazzoni e M. Monaco, Roma, Aracne, 2021, pp. 48-56, T. Forcellese, L’Italia e i Giochi olimpici: un secolo di candidature: politica, istituzioni e diplomazia sportiva, Milano, FrancoAngeli, 2013, p. 75-85 e La Federazione italiana, cit., pp. 141-143.

50 Fredianelli, Op. cit., p. 74-75; Gaugler, Op. cit., pp. 367-368 e La Federazione italiana, cit., pp. 131-135.

51 N. Labanca, Oltremare. Storia dell’espansione coloniale italiana, Bologna, il Mulino, 2002, pp. 143-145.

52 E. Anchieri, L’esordio della politica estera fascista (nei Documenti Diplomatici Italiani), in «Il Politico», 20 (1955), n. 2, p. 231.

53 P. Arnaud, French sport and the emergence of authoritarian regimes, 1919-1939, in Sport and International Politics. The impact of fascism and communism on sport, ed. by P. Arnaud, J. Riordan, New York, Routledge, 1998, p. 127.

54 Sulla vicenda di Puliti ai Giochi Olimpidi di Parigi nel 1924 cfr. T. Terret, C. Ottogalli-Mazzacavallo, J. Saint-Martin, The puliti affair and the 1924 Paris Olympics: Geo-Political issues, National pride and fencing traditions, in «The International Journal of the History of Sport», 24 (2007) n. 10, pp. 1281-1301.

55 Fredianelli, Op. cit., p. 174.

56 Ivi, pp. 146-148; Cohen, Op. cit., 393-399 e G. Franceschinis, La scherma Italiana e gli Ungheresi, in «Scherma. Bollettino mensile della F. I. S.», Novembre 1956, p. 5.

57 F. Orsini, Santelli Italo e Giorgio, in Dizionario Biografico degli italiani Treccani, 90 (2017), pp. 390-393 e Fredianelli, Op. cit., pp. 147-148.

58 S. Gayol, Pequeños desprecios, insultos y desafíos: la sensibilidad fin de siècle de la élite argentina, in «Caravelle», (2006), n. 86, p. 172.

59 Ivi, p. 173.

60 L. Losada, Sociabilidad, distincion y alta sociedad en Buenos Aires: los Clubes Sociales de la elite porteña (1830-1930), in «Desarrollo Económico», (2006), n. 180, p. 554.

61 V. Ilari, Storia militare dell’Argentina (1861-1917), t. 3, Bergamo, Cristini, 2015, p. 241.

62 F. Orsini, Pini Eugenio, in Dizionario Biografico degli Italiani Treccani, (2015), n. 83, p. 747.

63 Guarnotta, Op. cit., p. 27.

64 L. Rossi, Greco Agesilao, in Dizionario Biografico degli Italiani Treccani, (2002), n. 59, p. 56 e J. Palffy-Alpar, Spada sciabola fioretto, Milano, Sperling & Kupfer, 1967, p. 27.

65 M. Bertinetti, In memoria del M° Candido Sassone, in «Scherma. Bollettino mensile della F. I. S.», (1956), n. 5, p. 6.

66 Candido Sassone va in America, in «La Tribuna», 14 agosto 1924, p. 5.

67 M. Patti, Un ponte ancora aperto? Alcune note sull’emigrazione siciliana verso gli Stati Uniti durante il fascismo, in «Meridiana: rivista di storia e scienze sociali», (2018), n. 92, p. 30.

68 Sull’argomento cfr. D. Guazzoni, Sport immigration and its political implications in Argentina: the cases of the Italian fencers Eugenio Pini e Candido Sassone in Argentina, in «European Studies in Sports History», in corso di pubblicazione.

69 L. Incisa di Camerana, L’Argentina, gli italiani, l’Italia. Un altro destino, Milano, SPAI, 1998, pp. 448-453.

70 L. Fotia, Diplomazia culturale e propaganda attraverso l’Atlantico. Argentian e Italia (1923-1940), Milano, Mondadori 2019, pp. 13-19 e F.J. Devoto, Storia degli italiani in Argentina, Roma, Donzelli, 2007, pp. 195-205.

71 Sulla questione cfr. N.R. Porro, In altre patrie: l’esperienza sportiva nell’emigrazione italiana in Argentina e negli USA, in Dinamiche sociolinguistiche e didattica delle lingue nei contesti sportivi a cura R. Sietbetcheu, Siena, Edizioni Università per stranieri di Siena, 2020, pp. 361-372.

72 A. Levoratti-D. Roldán, Los batallones escolares de la patria. Estudio comparado de las representaciones sobre el cuerpo y el entrenamiento de los maestros de esgrima del Centenario en la República Argentina, in «Revista História da Educação», 23 (2019), [http://www.scielo.br/scielo.php?script=sci_arttext&pid=S2236-34592019000100439&lng=en&nrm=iso] Ultimo accesso 12 febbraio 2020.

73 Orsini, Pini Eugenio, cit., p. 474.

74 J. Saraví Rivière, Historia de la Educación Física argentina, Buenos Aires, Libros del Zarzal, 2012, p. 78.

75 G. Mazzini, Il Presidente della F.I.S. a tutti i Presidenti dei Comitati Regionali di Zona ed a tutti gli schermidori d’Italia, in «BIFIS», ottobre 1947, p. 1.

76 M. Massa, Gino Cantone (1917-1997). Unica medaglia d’oro olimpica individuale nella scherma (Londra 1948), in «Bollettino Storico Vercellese», 91 (2018), pp. 193-197.

77 Su Marcello Bertinetti cfr. F. Leale, M. Barberis, Marcello Bertinetti, Vercelli, Tip. edit. La Sesia, 1969 e M. Barberis (et al.), A fil di spada. La leggenda della scherma vercellese e i 50 anni del Trofeo Bertinetti, Vercelli, Effedi, 2018.

78 A riguardo delle pressioni di Sassone, si veda la testimonianza della figlia di Visconti, Carla, in M. Barberis, E. Canali, In guardia! Francesco Visconti. 70 anni di scherma, Vercelli, Litocopy, 1998, p. 37.

79 Si tratta di un’ipotesi che pare verosimile sulla base delle ricerche di Massa, Op. cit., pp. 193-197.

80 Fredianelli, Op. cit., p. 255.