Miguel Fernández Ubiría, Fútbol
y anarquismo

Madrid, Los Libros de la Catarata, 2020, 208 pp.

Edoardo Molinelli

Università per Stranieri di Perugia


All’interno del mare magnum rappresentato dalle centinaia di pubblicazioni dedicate alla storia delle squadre di calcio, Fútbol y anarquismo riesce indubbiamente a distinguersi per l’originale impostazione ideologica e per la tematica alquanto particolare: la relazione tra calcio e anarchia. Un legame che, contrariamente a quanto si potrebbe pensare osservando lo scenario contemporaneo, è molto profondo e coinvolge un numero non indifferente di club, anche piuttosto noti.

Il saggio del libertario Miguel Fernández Ubiría è diviso in tre parti distinte. Nella prima, più didascalica, l’autore effettua una panoramica della storia del calcio e dell’anarchismo; partendo da punti molto distanti nel tempo (il pok ta pok maya e il taoismo cinese, individuati come i più antichi antenati del gioco del pallone e della filosofia anarchica), arriva a tracciare un parallelismo tra la nascita del football moderno (o, per meglio dire, la sua “conquista” da parte della working class) e la quasi contemporanea affermazione degli ideali del socialismo utopico e dell’anarchia. In particolare, Ubiría sottolinea come gli anarchici, che inizialmente consideravano il nuovo sport un fattore di distrazione delle masse, ne intravidero sempre più le potenzialità “politiche”, apprezzando la necessità di mettere l’abilità individuale al servizio del collettivo e facendo coincidere metaforicamente l’obiettivo finale, il gol, con la rivoluzione sociale. Paradossalmente questa visione si rafforzò con la professionalizzazione e la capitalistizzazione del calcio, fenomeni ai quali gli anarchici risposero insistendo sulla necessità di mantenerlo dilettantistico e fuori dal mercato; un’impostazione che avvicina quelle esperienze alle contemporanee forme di protesta contro il “calcio business”.

Nella parte centrale del libro, la più corposa e originale, Ubiría ci conduce in un viaggio alla scoperta di tutte quelle squadre che vantano un’origine anarchica o che comunque sono legate alla causa dell’anarchia. Si tratta in gran parte di club centro e sudamericani fondati da immigrati di origine europea, proletari politicizzati e sindacalizzati o perseguitati politici in fuga a causa delle loro idee, per i quali era estremamente importante esprimere anche nello sport gli ideali per cui lottavano sul lavoro e nella vita. Alcuni di essi sono tuttora attivi e conosciuti, come l’Argentinos Juniors (fondato come Mártires de Chicago in onore degli otto anarchici condannati a morte dopo la rivolta di Haymarket Square del 1886) e il Chacarita Juniors di Buenos Aires, l’RNK Spalato, che nel 1936 organizzò il reclutamento di volontari per combattere per la Repubblica in Spagna, o il CE Júpiter del quartiere di Poblenou a Barcellona, che sembra fosse tifato da esponenti dell’anarchismo iberico quali Buenaventura Durruti, Juan García Oliver e Francisco Ascaso. L’autore nota acutamente che la maggior parte dei club di origine anarchica ha in seguito deciso di occultare le proprie radici, edulcorando o evitando di menzionare la fede politica dei propri fondatori, come a voler prendere le distanze da un’ideologia ritenuta sovversiva.

Il libro si conclude con una terza parte piuttosto breve, nella quale sono inseriti un approfondimento sul calcio popolare (o alternativo, come Ubiría preferisce definirlo) e un curioso mini-capitolo sull’anarchico galiziano Alexandre Campos Ramírez, uno dei possibili inventori del biliardino.

Fútbol y anarquismo rappresenta una lettura agile e piacevole, per quanto non esente da criticità. Tre sono particolarmente evidenti: lo sguardo limitato al mondo europeo e sudamericano, che esclude a priori la presenza di esperienze di “calcio anarchico” in altre parti del mondo; un apparato bibliografico basato in gran parte sul web, che difetta dunque di fonti primarie (archivistiche e documentarie) e secondarie; l’inserimento di molte squadre che, per stessa ammissione dell’autore, poco o nulla hanno a che fare con il mondo anarchico. Rispetto a quest’ultimo punto, è impossibile non notare la presenza di due totem della sinistra radicale globale, il St. Pauli di Amburgo e il Rayo Vallecano di Madrid, che non hanno legami specifici con l’anarchismo, o di club come il Corinthians, l’Independiente de Avellaneda, il Newell’s Old Boys o la Red Star di Parigi, fondati da socialisti o comunisti. Molto forzata risulta anche l’inclusione di realtà di calcio popolare come il CS Lebowski di Firenze, lo Spartak Lecce o il Clapton FC, che condividono alcuni valori alla base dell’idea anarchica del calcio ma restano comunque lontane dall’idea alla base del libro.

In definitiva, si tratta di un saggio sicuramente in grado di dare un’infarinatura generale sul tema e di offrire alcuni spunti al lettore, ma che non riesce a scandagliare in profondità il rapporto tra calcio e anarchia, una chiave di analisi dello sport più noto del mondo meritevole di una trattazione più dettagliata.