Recensione

Gabriel KUHN, Soccer vs. the State , Oakland, PM Press, 2019 (seconda edizione), 332 pp.

Marco Giani

(Società Italiana per la Storia dello Sport)

Esce, a dieci anni dalla prima, la seconda edizione di questo volume dello svedese Gabriel Kuhn, che tenta di indagare in maniera molto ampia il nesso fra calcio e politica (di sinistra) nel mondo contemporaneo. Pur non essendo strettamente divulgativo, il libro non è nemmeno tecnicamente scientifico: si pone piuttosto in una terra di mezzo per cui può essere letto dal semplice appassionato per farsi un’idea ma è sicuramente utile anche allo studioso dello sport che voglia provare non solo ad indagare con prospettiva internazionale certi fenomeni tipici del calcio italiano ed europeo, ma soprattutto procurarsi una via d’accesso ad alcuni contesti socio-sportivi sui quali la bibliografia, non solo in lingua italiana, ma persino in lingua inglese è assai carente. Kuhn, ex calciatore semiprofessionista, ora traduttore con base a Stoccolma, mette infatti a disposizione del lettore un numero impressionante di documenti (interviste, manifesti, volantini, articoli etc.) di difficile reperibilità.

Dopo un’introduzione storica sulla reale consistenza del mito che vedrebbe nel calcio lo sport tipico della classe operaia, Kuhn dedica la prima parte del libro ai dibattiti radicali sul calcio: il ruolo della politica; il calcio come “oppio dei popoli”; il nazionalismo; la violenza dei tifosi; la commercializzazione del calcio contemporaneo; l’intolleranza. Nella seconda parte passa invece alle attività radicali riguardanti il calcio: proteste; campagne per la giustizia sociale; personalità, club e tifosi significativi in senso politico; club visti come cooperazione anziché come aziende. La terza parte è dedicata invece alla cultura calcistica grassroots  e a quella underground  e quindi al «Football for Radicals».

La seconda edizione è arricchita da un’Appendice con materiali nuovi rispetto alla prima, dedicati ad esempio al ruolo degli ultrà nelle Primavere Arabe tra il 2011 ed il 2013, agli scandali che hanno colpito la FIFA nel 2015, alle crescenti questioni politiche emergenti dal calcio femminile odierno.

Il primo tema portante di «Soccer vs. the State» è senza dubbio la questione di quanto il calcio sia democratico, e democratizzante. Non presentiamo in questa sede le varie sfaccettature della risposta fornita dall’autore, anticipandone piuttosto solo una. Kuhn sottolinea a più riprese come il calcio contemporaneo abbia sempre più ridotto le persone provenienti dalle classi lavoratrici a ingranaggi del sistema, in posizione “attiva” (calciatori che intrattengono il pubblico) oppure “passiva” (gli spettatori consumatori). A riguardo però l’autore evidenzia che tale processo non può essere inteso come una privazione di una prerogativa delle classi lavoratrici, considerando che, storicamente, il calcio non è mai appartenuto loro del tutto, nemmeno alle origini (p. 46).

Il secondo argomento sul quale l’autore svedese torna sempre - e sinceramente parlando, forse sa dare il meglio di sé - è la capacità di indigenizzazione del calcio. Veniamo così accompagnati alla scoperta dei vari volti che il football può assumere nelle diverse culture sportive del globo diventando, ad esempio, negli Stati Uniti prima lo sport degli immigrati europei ed oggi dei latinoamericani; nel Sudafrica dell’apartheid lo sport dei neri; in Australia la disciplina riservata ai wogs  (termine insultante usato per indicare gli immigrati dell’Europa Meridionale ed Orientale). La glocalizzazione del calcio ha ovviamente anche i suoi nemici locali, come nel caso della soccerphobia, fenomeno strisciante in molti ambienti conservatori statunitensi, che connotano il calcio come lo sport degli immigrati, delle donne e dei bambini: alcuni siti di destra addirittura dipingono il calcio come uno sport per sua natura comunista e/o gay (p. 44).

Come già anticipato, il motivo principale per cui procurarsi «Soccer vs. the State» non sono tanto le teorie che strutturano il volume, quanto i materiali messi a disposizione, spesso provenienti da fanzine, giornali a tiratura locale, siti Internet. Fra i tanti, si segnalano: un lungo articolo di Osvaldo Bayer sulle radici rivoluzionarie (socialiste ed anarchiche) di molti club e giocatori sudamericani delle origini (pp. 20-24); un’intervista agli editors  della fanzine TÁL, dedicata ai fan dei Celtic Glasgow (pp. 172-177), in cui viene narrata la riflessione “di curva” dopo gli episodi di razzismo contro il giocatore di colore Mark Walters dei Rangers - era ipocrita, per irlandesi di seconda e terza generazione, essere razzisti dopotutto quello che avevano subito; da qui si parla di come tifare Celtic voglia dire veramente sentirsi parte di una minority community  in Scozia; un saggio di Roger Wilson sull’Easton Cowboys and Girls Sport Club (pp. 183-200), in cui si spiega come, all’interno di questa società di calcio popolare di Bristol, al fine di sfuggire il politically correct  imperante in certi ambienti di sinistra, si cerchi di evitare il divieto totale di scherzi e sfottò sul campo, preferendo un franco dialogo che non assolutizzi il significato letterale di certe espressioni linguistiche.

Kuhn arricchisce il volume con molte interviste fatte per l’occasione, tra cui bisogna assolutamente leggere quella a Daniel Künzler sul calcio contemporaneo in Africa (pp. 31-37): quella a Nick A. sul calcio in Australia e Nuova Zelanda (pp. 38-42); quella ad un anziano calciatore dilettante svedese, Alf Alegmo, che racconta lo shift  sociale avvenuto nel calcio in Svezia fra gli anni Quaranta/Cinquanta e gli anni Sessanta (pp. 46-50); quella ad Annika Hoffmann e Nicole Selmer sul tifo femminile nel calcio maschile in Germania (pp. 95-98); quella a Rob Cook e Mick Totten del Republica Internationale FC, in cui accenna ad esempio alle discussioni interne alla squadra di calcio popolare di Leeds riguardo la possibilità di rispondere di o meno alla violenza dei giocatori avversari, molto diffusa nelle serie minori inglesi (pp. 203-209) e quella a Tine Hundahl, della Danish Football Supporter Association, sullo sciopero delle calciatrici danesi contro la propria Federazione del 2017 (pp. 280-281).

Da segnalare come anche l’Italia abbia un suo piccolo spazio, all’interno del volume. Vengono citati, in ordine di apparizione: gli emigrati italiani in Australia che tifano la Nazionale azzurra (p. 40); Cristiano Lucarelli, definito «the new hero for radical football fans»; Fabrizio Miccoli (pp. 115-119) e i Mondiali Antirazzisti (pp. 223-225). Chiude il volume una rassegna dedicata a letture, film e musica dedicati al calcio (pp. 306-316), anche in questo caso utile per titoli non immediatamente disponibili per il lettore italiano.