Fabien Archambault, Il controllo del pallone. I cattolici, i comunisti e il calcio in Italia (1943-anni Settanta)

Firenze, Le Monnier, 2022, 420 pp.

Lorenzo Venuti

Università di Bologna



Nel 2012 Fabien Archambault, all’epoca docente di storia contemporanea presso l’università di Limoges, diede alle stampe Le contrôle du ballon. Les catholiques, les communistes et le football en Italie, de 1943 au tournant des années 1980. Il testo, frutto del suo lavoro di dottorato presso l’Università di Grenoble II, si distanziava nettamente rispetto agli studi allora disponibili sul calcio italiano, anche grazie allo studio delle carte dell’Archivio centrale dello Stato e del Centro sportivo italiano, di circa 60 giornali (sportivi e non), di numerosi film, della pubblicistica e della memorialistica del periodo analizzato.

Dopo dieci anni il libro è stato tradotto in italiano da Le Monnier con il titolo Il controllo del pallone. I cattolici, i comunisti e il calcio in Italia (1943-anni Settanta), rendendo disponibile un’opera di particolare rilievo per capire il rapporto fra calcio e politica nell’Italia repubblicana. Al centro della riflessione una domanda semplice: come il calcio è diventato lo sport più popolare della penisola scalzando il dominio del ciclismo all’inizio degli anni Cinquanta? Per rispondere a questa domanda l’A. si muove su una dimensione originale: invece di concentrarsi sulla dimensione professionistica-spettacolare della disciplina, Archambault mette al centro del proprio interesse proprio il legame fra forze politiche e la pratica sportiva di massa. Un esempio permette di chiarire questo rapporto: in apertura del volume l’A. riporta che Giuseppe Di Vittorio, segretario generale della CGIL avrebbe proposto ad Arrigo Morandi, suo corrispettivo alla UISP, di costituire una squadra di serie A “dei lavoratori” (p. 119). Tuttavia, Morandi rifiutò: la priorità non era lo sport spettacolo, ma invece la diffusione dello sport fra le masse dei lavoratori. L’episodio, di per sé gustoso, rivela tuttavia l’esistenza di una politica sportiva comunista, diretta non tanto verso il calcio spettacolo, ma invece verso gli atleti non professionisti. E proprio questo è il vero focus del volume: più che guardare alle grandi squadre della Serie A, il testo è incentrato sulla politica sportiva dei partiti e delle loro associazioni collaterali, interrogandosi su come il calcio sia servito per rafforzare il proprio consenso alla causa politica. Protagoniste sono dunque la UISP, Unione Italiana Sport Popolare per il Partito Comunista Italiano e il CSI, Centro sportivo italiano per la Democrazia Cristiana. Così come il fascismo aveva utilizzato lo sport per formare l’“uomo nuovo”, i partiti dell’Italia repubblicana intuirono ben presto l’importanza dello sport come strumento per avvicinare i giovani, o almeno per sottrarli alla propaganda del partito avverso. In questa rincorsa, tuttavia, il movimento di massa finisce per replicare le storture ereditate dal fascismo: i movimenti sportivi para-partitici riescono a radicarsi soprattutto nelle grandi città, escludendo buona parte dell’Italia meridionale, specie fra Basilicata e Calabria. Dopo aver sottolineato le radici politiche del primato calcistico della penisola, nella seconda parte del volume l’A. ripercorre il risultato di questa accresciuta popolarità del pallone, con la politicizzazione del tifo, e in particolare la formazione dei primi gruppi organizzati. Ripercorrendo la loro vicenda si arriva così al termine del testo, identificata con la crisi del rapporto fra tifo e politica, e l’elaborazione, a partire dagli anni Settanta, di un consumo autonomo dello spettacolo sportivo che è sempre politico ma derivato, più che dai partiti, direttamente dal mondo calcistico (p. 267).

In base a questo assunto arriva la risposta alla domanda posta dal testo: secondo l’interpretazione di Archambault è la strategia cattolica che rende il calcio lo sport italiano per eccellenza (p. 307). Una sensibilità evidente sin dall’immediato dopoguerra, ed evidente nel rapporto fra la curia milanese e «La Gazzetta dello Sport» (rifiutata invece dal partito socialista (p. 214). L’influenza della Chiesa si rafforzò anche in seguito grazie al “calcio d’oratorio”, un fenomeno favorito dall’aiuto che il governo diede al movimento cattolico per ottenere campi e infrastrutture. Una strategia che presenta increspature: dal testo emerge infatti una certa insofferenza da parte di alcuni prelati a causa dell’eccessiva dimensione ludica-agonistica presente negli oratori (p. 54) e dunque una pluralità di anime sulla questione, segno però dell’attenzione prestata alla stessa. Nella lettura di Archambault il calcio diventa veramente “sport popolare”, nell’accezione di pratica di massa, non grazie all’attenzione dei dirigenti sportivi di sinistra, ma invece proprio grazie agli oratori messi a disposizione da preti interessati a sottrarre i giovani alle possibili influenze comuniste.

In conclusione, la pubblicazione in italiano del volume è da salutare con particolare soddisfazione dal mondo della storia dello sport: un testo che non vuole esaurire lo spazio della ricerca, ma invece lanciare una sfida, e mostrando come, attraverso l’analisi di una passione collettiva, si possa ricavare una stimolante chiave di lettura per un ampio periodo della storia repubblicana.