Fausto Coppi e la storia del ciclismo italiano, a cura di Eleonora Belloni, Deborah Guazzoni

Roma, Aracne, 2023, 203 pp.

Michelangelo Borri

Università di Trieste e Udine



Il volume curato da Eleonora Belloni e Deborah Guazzoni raccoglie gli atti dell’omonimo convegno promosso nel 2019 dalla Società italiana di storia dello sport, dalla città di Novi Ligure e dal locale Museo dei «Campionissimi», dedicato proprio ai ciclisti Fausto Coppi e Costante Girardengo.

Come scritto dalle stesse curatrici nell’introduzione (p. 13), Fausto Coppi e la storia del ciclismo italiano si inserisce nella scia di una nutrita serie di contributi storiografici dedicati non soltanto al campione piemontese, ma più in generale a quello che è stato a lungo lo sport prediletto dagli italiani e alle sue più importanti manifestazioni, partendo inevitabilmente dal Giro d’Italia: tra gli altri, con approcci e soggetti diversi, basterà qui richiamare i lavori monografici di Daniele Marchesini e Stefano Pivato, nonché volumi collettanei come quello curato da Gianni Silei e dedicato al rapporto tra il Giro e la società italiana, fino ai recenti contributi di autori stranieri come John Foot e Colin O’Brien.

A sua volta, da Coppi e dal Giro il volume prende in qualche modo le mosse per allargare lo sguardo a contesti più ampi, in modo tale da riallacciare le vicende sportive al clima politico e alla realtà sociale dell’Italia degli ultimi due secoli. Così, Erminio Fonzo tratteggia l’atmosfera plumbea del Giro del 1940, comunque non in grado di oscurare la stella nascente del giovane Coppi. Spostandosi agli anni del secondo dopoguerra, Paul Dietschy ricostruisce l’evoluzione dell’immagine pubblica del campionissimo in Francia, partendo dalla diffidenza dopo i primi successi fino alla consacrazione al Tour del 1952, con cui andò formandosi un mito in grado di sopravvivere pure alla morte dell’uomo. Alla rivalità Coppi-Bartali, riletta alla luce delle contrapposizioni proprie della prima Guerra fredda, è rivolto il contributo di Sergio Giuntini: la dicotomia tra i campioni, al netto delle simpatie partitiche forzatamente attribuite ai due atleti da stampa e pubblicistica coeve, finì per riflettersi in quella tra «modernità e conservazione» (p. 100), in un paese percorso da profonde lacerazioni sociali e politiche.

Accanto ai campioni, il volume non manca di riservare spazio ad altri protagonisti del ciclismo italiano, siano stati essi dei gregari (p. 19) come Miro Panizza e Giancarlo Perini, raccontati da Andrea Bacci, oppure tecnici e voci narranti di primo piano nella storia della disciplina come Giuseppe Ambrosini, maestro del giornalismo sportivo cui Alberto Molinari riserva un attento profilo biografico, con particolare riferimento agli anni della formazione giovanile, nel contesto del regime fascista e del contraddittorio rapporto tra politica e pratica fisica. Partendo, ancora, da un approccio biografico, Raffaele Ciccarelli presenta le tappe principali del ciclismo nel Meridione – e, in particolare, in Campania – tramite l’esperienza del campione Alberto Marzaioli. Infine, gli avventurosi viaggi di Thomas Stevens e dei coniugi Pennell, Joseph ed Elizabeth Robins, raccontati da Paolo Bruschi, rendono bene l’idea dello stretto rapporto tra impresa sportiva e turismo, cui si legò anche la diffusione della bicicletta, alla fine dell’Ottocento. Nel complesso, la scelta di dar spazio a contributi uniti dal comune filo conduttore del dato biografico, come punto di partenza per approfondimenti in grado di muoversi su piani e contesti diversi, appare convincente e particolarmente efficace, anche nell’ottica di dar conto della varietà umana del mondo ciclistico, fatto tanto di campioni quanto di appassionati e di addetti ai lavori.

A completare tale panoramica complessiva segue il saggio di Federico Greco sulla rappresentazione femminile e sul rapporto tra le donne e il mondo delle due ruote, approcciati attraverso lo spoglio della rivista «il Ciclista» in una prospettiva di lungo periodo. Partendo da un caso di studio specifico, quello vercellese, Deborah Guazzoni affronta l’esperienza degli Audax e dei Fortiores, affermatisi a inizio Novecento come modelli sportivi e associativi tanto in Italia quanto all’estero. A un luogo per eccellenza del ciclismo, come la fuga, Massimo Pirovano dedica un’articolata riflessione in grado di evidenziare diversi caratteri della pratica sportiva, con particolare riferimento alla complessità e all’ambivalenza delle relazioni, alle tensioni e alle dinamiche conflittuali del mondo agonistico su due ruote (p. 171).

Collocandosi in continuità con i contributi già presentati, una serie di interventi rivolge infine il proprio sguardo a un passato più recente, se non addirittura alla contemporaneità e al futuro della bicicletta. In tale direzione si pone già il lavoro di Anna Maria Pioletti, che ripercorre la storia del Giro d’Italia partendo dal 1909 e, persino, dalle vicende e dai progetti che ne avevano anticipato l’istituzione. Tuttavia, è soprattutto sugli ultimi decenni che Pioletti concentra la propria attenzione, con particolare riferimento alle connessioni tra la manifestazione e le località interessate, come chiave di osservazione privilegiata rispetto al rapporto tra sport e territorio. Rivolti al futuro, ancora, sono i saggi di Elisa Tizzoni ed Eleonora Belloni. Il primo è dedicato al ruolo del ciclismo nel processo di integrazione europea, declinato non soltanto sul piano dei passi intrapresi per l’introduzione di standard europei nella produzione delle biciclette, come misure indirizzate verso la creazione di un marchio comunitario (p. 186), ma anche come perno centrale delle politiche ecologiche implementate in favore di una mobilità più sostenibile. Il secondo contributo affronta invece la relazione tra i ciclismi sportivo e utilitario, un dualismo complesso e radicato nel quadro culturale italiano, del quale Belloni ricostruisce sinteticamente la genesi, i tratti distintivi e lo sviluppo, registrando al contempo, significativamente, mutamenti importanti nel modo in cui gli italiani hanno interpretato e vissuto la bicicletta in tempi più recenti. Proprio dalla «lezione del passato» (p. 33) emersa dalle analisi tematiche e dai profili biografici affrontati dagli autori e dalle autrici, secondo un fil rouge comune all’interno volume, può dunque passare la riscoperta della pratica ciclistica non soltanto sotto il profilo sportivo, ma anche sul piano socio-culturale e di una mobilità alternativa sempre più sollecitata nel discorso pubblico nazionale e internazionale, a conferma della modernità di un mezzo che per la propria storia e per la propria attualità si presenta oggi come «ideale ponte di congiunzione tra passato e futuro» (p. 38).