Recensione

A cura di Pietro Causarano, Francesca Tacchi e Lorenzo Venuti,  Sport popolare, popolarità dello sport , fascicolo monografico di “Passato e Presente” , n. 111, settembre-dicembre 2020.

Erminio Fonzo

(Università di Salerno)

Il recente fascicolo di “Passato e presente”, che trae origine da un seminario tenuto all’Università di Firenze nel novembre 2019, si concentra su un aspetto poco battuto dagli studi, quale lo «sport popolare». Il concetto non è semplice da definire, ma, in linea di massima, identifica i gruppi sportivi fondati allo scopo di includere categorie per le quali praticare sport risulta difficile. Il significato dell’espressione, tuttavia, si è modificato nel corso degli anni: nei primi decenni del Novecento, con «sport popolare» si indicavano le prime associazioni sportive operaie sorte in ambito socialista, nel secondo dopoguerra l’espressione è stata usata soprattutto a proposito dell’U.I.S.P. e oggi si riferisce prevalentemente alle società fondate dalla sinistra movimentista.

La preparazione del fascicolo è stata condizionata dalla pandemia del Covid-19 e dalla chiusura, pressoché completa, di archivi e biblioteche, che ha costretto alcuni autori a rimodulare i loro contributi.

È impossibile, naturalmente, soffermarsi analiticamente su tutti gli articoli, che hanno il pregio di portare all’attenzione dei lettori vicende poco note e meriterebbero una riflessione approfondita. Si possono evidenziare, però, i punti salienti e alcune considerazioni proposte dagli autori. Dopo il contributo di Nicola Porro, che traccia una storia dei concetti di cittadinanza e di sport inclusivo, Andrea Zorzi propone le sue riflessioni su un tema importante, il ruolo nella storiografia sportiva degli aspetti più strettamente agonistici, spesso trascurati perché si preferisce dedicare attenzione solo alle questioni socioculturali, politiche ed economiche connesse allo sport, nonostante, in molti casi, tali questioni siano influenzate anche dal «fatto agonistico». Sulla storiografia sportiva si sofferma anche Nicola Sbetti, che passa in rassegna le pubblicazioni più recenti, facendo emergere la ricchezza del panorama storiografico che si è aperto negli ultimi anni e, nello stesso tempo, la carenza di studi su molti temi, in particolar modo a proposito dello sport di massa.

I contributi più strettamente di ricerca si concentrano su alcuni aspetti dello sport popolare. Anzitutto le origini, raccontate da Leo Goretti, e due discipline: l’alpinismo, uno «sport/non sport» del quale Pietro Causarano analizza la dimensione popolare, mettendola in connessione con quella alto-borghese che ha spesso caratterizzato la disciplina; il calcio femminile dalla Seconda guerra mondiale in avanti, argomento fino a ora trascurato dalla storiografia – come è stato trascurato, del resto, dagli organi di informazione – del quale Francesca Tacchi evidenzia le «false partenze» e le barriere, provocate da un ambiente animato da mentalità misogina e patriarcale.

Altri due articoli, opera di giovani studiosi come Daniele Serapiglia e Lorenzo Venuti, spostano l’attenzione fuori dall’Italia, soffermandosi sullo sport nell’ Estado Novo portoghese, esaminato in comparazione con la vicenda Italiana, e sull’Ungheria prima del 1956, analizzata soprattutto in merito ai suoi rapporti con l’Unione sovietica.

Inoltre, Fabien Archambault porta all’attenzione dei lettori un cronista sportivo «speciale», Pier Paolo Pasolini, analizzando il «ritratto» dei tifosi romani che lo scrittore propose in un articolo del 1957; Gianni Silei prende in esame una tifoseria inglese, quella del Charlton Athletic, soffermandosi sul radicamento territoriale e l’attivismo, senza limitarsi, come spesso avviene quando si discute di calcio inglese degli anni ‘80, all’hooliganismo e alle violenze.

Nel complesso, l’interesse del fascicolo deriva dal carattere innovativo dei contributi e dalle ricerche approfondite sui quali si basano. Inoltre, leggere la storia dello sport popolare è interessante perché esso, inteso soprattutto come inclusione delle categorie che incontrano maggiori ostacoli nella pratica di attività sportive, attualmente sta attraversando una fase di evoluzione. Progetti e iniziative si sono moltiplicati sia in Italia, sia nel resto del mondo, ma i progressi compiuti negli ultimi anni non hanno consentito una piena integrazione delle categorie più a rischio di esclusione e, in molti casi, non hanno colmato il ritardo che l’Italia sconta rispetto ad altri Paesi. Per esempio, nel caso dei migranti, numerosi progetti, sia “popolari”, sia istituzionali, e diverse modifiche normative hanno reso più facile l’accesso alla pratica sportiva, ma non hanno comportato una vera cittadinanza sportiva, né hanno permesso di rimuovere tutte le barriere che si frappongono alla completa integrazione sportiva di chi è sprovvisto di cittadinanza. A proposito dello sport femminile, l’atteggiamento odierno degli addetti ai lavori e del pubblico non è paragonabile a quello, di forte chiusura, riscontrato in passato, anche in uno sport che in genere è declinato al maschile, come il calcio. Vicende recenti (inizio dicembre 2020), come la nomina della giocatrice Sara Gama a vicepresidente dell’Associazione Italiana Calciatori e la presenza, per la prima volta, di un’arbitra in una partita di Champions League, rappresentano progressi significativi, ma le barriere, evidenziate da Francesca Tacchi nel suo contributo, sono ancora elevate. Basti pensare alle considerazioni misogine espresse da una parte dei commentatori in occasione dei campionati del mondo del 2019, che per la prima volta hanno portato la disciplina all’attenzione di un pubblico ampio. Nel caso dell’inclusione nello sport delle persone con disabilità – tema che in Italia non è ancora oggetto di ricerche storiche – dalla fine degli anni ’80 sono stati compiuti progressi considerevoli, che però non hanno permesso di superare tutti gli ostacoli e non hanno portato alla fusione tra le organizzazioni sportive olimpiche e paralimpiche, come è avvenuto in altre Paesi.

Il contributo della ricerca a queste qu estioni, che inevitabilmente saranno oggetto di dibattito e decisioni “politiche” nei prossimi anni, è essenziale, perché fornisce strumenti di conoscenza indispensabili a dirigenti e decision makers . Per tale ragione, un’iniziativa come quella proposta da “Passato e Presente” non può che essere accolta con il massimo interesse.