Recensione
Dario CRESTO-DINA, Sei chiodi storti. Santiago 1976, Roma, 66th and 2nd, 2016.
Lucio BIANCATELLI e Alessandro NIZEGORODCEW, 1976. Storia di un trionfo. L’Italia del tennis, Santiago e la Coppa Davis, Roma, Edizioni Lit, 2016.
Lucio FABIANO, Coppa Davis 1976 una storia italiana, Grancona, Edizioni Mare Verticale, 2016.

Sergio Giuntini,

Società Italiana di Storia dello Sport

Sconfitta nel 1960 e 1961 dall’Australia, l’Italia tennistica solo nel 1976 riuscì a iscrivere il proprio nome nell’Albo d’oro della Coppa Davis. Un successo estremamente difficile non tanto sotto il profilo tecnico quanto per il “dove” fu ottenuto. Dopo aver eliminato Polonia, Jugoslavia, Gran Bretagna, Australia, gli “azzurri” (Adriano Panatta, Corrado Barazzutti, Paolo Bertolucci, Tonino Zugarelli) si trovarono a dover affrontare in finale a Santiago la “sorpresa” Cile, giuntavi per il forfait politico dell’Unione Sovietica rifiutatasi d’incontrare in semifinale i tennisti del dittatore Pinochet. In quest’ottica anche per l’Italia quella Davis divenne una questione politico-diplomatica assai complessa, suscitando un acceso dibattito nel Paese. Soprattutto le forze della sinistra, e in particolare quelle dell’area extraparlamentare, crearono un fronte del boicottaggio assai agguerrito e articolato, che investì Coni, Fit e parlamento della Repubblica cercando d’incidere sulle decisioni che, in ultima istanza, sarebbero state assunte dal governo delle “astensioni” presieduto da Giulio Andreotti. Prevalse la “realpolitik”, l’Italia volò in Cile e con un secco 4-1 s’aggiudicò l’ambita insalatiera. Nella fase del dibattito interno, tra l’estate e il dicembre 1976, un ruolo fondamentale lo giocò il Partito comunista italiano (Pci). La sua posizione si andò definendo “in corsa”. Ricordato che la strategia del “compromesso storico” traeva origine proprio da una riflessione berlingueriana sul colpo di stato in Cile dell’11 settembre 1973, il Pci mutò progressivamente strategia, passando da un boicottaggio duro e puro dell’incontro a un atteggiamento più costruttivo e disponibile. Atteggiamento che costituì un sostanziale lasciapassare politico abilmente sfruttato dal governo Andreotti per l’invio dei nostri tennisti in Sudamerica. Un “trasformismo” aspramente criticato dalla sinistra extraparlamentare e in specie da “Lotta Continua”, che si era posta a capo del fronte del No. Questi temi hanno trovato una interessante rappresentazione in tre volumi di recente pubblicazione: Sei chiodi storti. Santiago 1976 (Roma, 66tha2nd 2016) di Dario Cresto-Dina; 1976. Storia di un trionfo. L’Italia del tennis, Santiago e la Coppa Davis (Roma, Edizioni Lit 2016) di Lucio Biancatelli e Alessandro Nizegorodcew; Coppa Davis 1976 una storia italiana (Grancona, Edizioni Mare Verticale 2016) di Lucio Fabiano. Tre testi impegnati soprattutto nel non agevole tentativo di mantenere un equilibrio tra il piano agonistico dell’evento, pur importante, e il contesto fortemente ideologizzato nel quale si realizzò quel successo sportivo.

In tal senso i primi due lavori appaiono caratterizzati da un impianto d’impronta prevalentemente giornalistico-narrativa, mentre il terzo contiene delle utili annotazioni storiografiche. Quella di Cresto-Dina è una “narrazione” che incrocia storia e letteratura, raccontando la vittoria di Santiago come una «cronaca di breve felicità» (p. 7) all’interno d’una vicenda cupa, tra l’Italia preda del terrorismo e una “via cilena” che aveva fatto scuola culminando, proprio quell’anno, in un nuovo sanguinario golpe in Argentina. Un volume sostenuto da una prosa efficace, il cui pregio principale consiste nel ricreare le atmosfere e gli umori che fecero da contorno all’evento. Biancastelli e Nizegorodcew hanno invece tratteggiato un quadro fondato sulle testimonianze raccolte fra i protagonisti (Paolo Pietrangeli, Panatta, Bertolucci, Barazzutti, Zugarelli, Jaime Fillol) e alcuni cronisti che allora vissero da vicino quella Davis contestata: Gianni Clerici, Marina Sbardella, Vittorio Roidi, Ubaldo Scannagatta, Daniele Garbo, Giancarlo Baccini, Silvano Tauceri, Rino Cacioppo, Giampero Galeazzi, Lea Pericoli, Mario Giobbe, Rino Tommasi. Ricordi tra il memorialistico e l’aneddotico, che tuttavia arricchiscono di particolari inediti la vicenda. Infine il libro di Fabiano è quello che presenta la maggiore originalità e valore storico. Nello specifico aiuta a comprendere meglio la posizione “ondivaga” tenuta dal Pci. A indurlo a modificare il proprio punta di vista fu in specie l’ambasciatore italiano a Santiago del Cile Tommaso Vergottini. Questi convinse i deputati comunisti Guido Calvi, Vittorio Origlia, Sergio Segre a intervenire presso il segretario del partito Enrico Berlinguer affinché si desse luogo a uno “scambio” fra partecipazione “azzurra” alla finale e l’espatrio garantito a due dirigenti del Pc cileno (Victor Canteros e Ines Cornejo) ed alcuni oppositori discendenti da emigrati italiani (cfr. il capitolo 20 “Diario cileno: “La Missione Davis” dell’ambasciatore Tommaso Vergottini”, pp. 205-211). Nel merito il nostro diplomatico scrisse nei suoi appunti: «È evidente che il governo cileno ha un vivo interesse alla disputa della finale della Davis a Santiago […] per ovvi motivi di immagine […] I dividendi che si ripromette di conseguire saranno tanto maggiori quanto più insistente e clamorosa sarà la campagna contraria […] a mio subordinato parere, siamo in condizione di trarre partito da questo interesse del governo cileno. Per esempio, un collegamento fra la Coppa Davis e la liberazione dei detenuti di origine italiana». (p. 207) Convinto da queste opportunità, nel solco della tradizione togliattiana il Pci rovesciò la sua linea togliendo le “castagne dal fuoco” alla compagine governativa. Così il ministro degli Esteri Arnaldo Forlani, che con notevole «ottimismo della volontà» già ai primi d’ottobre dava per certa la trasferta tennistica, quando a dicembre ciò si concretizzo poté opporre alle veementi critiche provenienti dagli extraparlamentari proprio l’alto senso di «responsabilità nazionale» dimostrato dai comunisti italiani. Ma le polemiche non si sarebbero sopite. E mentre Panatta sollevava in alto il trofeo conquistato a Santiago, lo stesso 19 dicembre 1976, non senza qualche obiettiva ragione, il quotidiano Lotta Continua titolava in apertura di prima pagina: «Chi ha veramente vinto la Coppa Davis? Pinochet batte Italia cinque a zero». Una interpretazione su cui storici e politici continuano ad interrogarsi.