Recensione
Elvis LUCCHESE, Sport di combattimento. Gli esordi
del rugby in Veneto. 1927/1945
,
Treviso, Hoggar Edizioni, 2017, 73 pp.

Claudio Mancuso

(Università degli Studi di Palermo)

Il volume di Elvis Lucchese rappresenta un’approfondita indagine sulle origini del rugby in Veneto. L’autore – giornalista e profondo conoscitore del mondo della palla ovale – attraverso lo studio delle principali fonti giornalistiche dell’epoca, accompagnato da un attento confronto bibliografico, ripercorre le tappe più importanti che hanno segnato l’evoluzione della disciplina rugbistica nel territorio veneto, dagli anni Venti alla fine della seconda guerra mondiale.

Dalla prima ed effimera esperienza della squadra padovana dei Leoni di San Marco, il rugby veneto trova negli ambienti legati al Gruppo Universitario Fascista di Padova un vero e proprio centro di irradiazione della disciplina verso le altre principali città della regione: Venezia, Verona, Vicenza, Belluno e soprattutto Rovigo (la cui esperienza appare una sorta di unicum nel panorama italiano) e Treviso.

Durante gli anni della dittatura, lo “sport di combattimento” risulta appannaggio della borghesia urbana, ovvero di quella classe sociale che detiene il potere politico e amministrativo e può assicurare ai propri figli una formazione universitaria. Dunque gli esordi del rugby assumono una connotazione fortemente esclusiva ed elitaria e risultano indissolubilmente legati ai piani di propaganda del regime.

Del resto, la genesi e la diffusione della pratica rugbistica in Veneto rappresentano un’efficace sintesi delle modalità di sviluppo del rugby in Italia durante il Ventennio fascista. Lucchese, infatti, ben sottolinea come gli esordi di questa disciplina rispecchino due visioni di fondo della pratica sportiva. Da un lato quella delle gerarchie fasciste che utilizzano la promozione del gioco della “palla ovale” quale strumento di indottrinamento ideologico (non a caso nel «1928 il rugby era già stato inserito fra le discipline di maggior interesse nella “Carta dello Sport” voluta da Augusto Turati», p. 13); dall’altro lato invece il mecenatismo indipendente che ambiva al professionismo, pur nella difficoltà di reperire le risorse necessarie.

Lucchese affronta anche il tema degli sviluppi del rugby negli anni della guerra e nel periodo della ricostruzione, quando la sopravvivenza e la rinascita della disciplina in Italia sono legati alla presenza delle truppe alleate nella penisola. Inglesi, neozelandesi e australiani procurarono infatti «non solo materiali ma anche una competente assistenza tecnica nel gioco. E fornendo anche validi avversari alle rinascenti formazioni italiane» (p. 55).

Il volume descrive quindi i primi sviluppi di una disciplina nuova ma con una diffusione incerta, soprattutto se paragonata a quella di altri sport come il calcio o il ciclismo, nonostante il sostegno delle autorità fasciste. Proprio il marchio del regime, come sottolinea opportunamente Felice Fabrizio in sede introduttiva, rallenterà la diffusione dello sport negli anni successivi al conflitto.

In conclusione, il lavoro di Elvis Lucchese appare di fondamentale importanza all’interno del dibattito storiografico legato alla storia del rugby italiano, visto ancora l’esiguo numero di opere che questo ambito di studio può annoverare. Nondimeno, l’analisi proposta può essere collocata nell’alveo di un’altra direttrice storiografica cruciale, quella dell’evoluzione dello sport italiano in epoca fascista e dell’uso della pratica sportiva come strumento di propaganda e di lotta politica.