Recensione
Philippe VONNARD, Nicola SBETTI, Grégory QUIN, (eds.), Beyond Boycotts. Sport during the Cold war in Europe, Berlino/Boston, De Gruyter Oldenburg, 2018, pp. 234.

Gherardo Bonini,

(Archivi storici dell’Unione Europea Firenze)

Tre storici della nuova generazione, ma collaudati da ricerche ad ampio respiro, come Philippe ­Vonnard, Nicola Sbetti e Grègory Quin hanno curato un gruppo di saggi di ripensamento critico delle intricate relazioni tra lo sport e la guerra fredda. Il titolo, Beyond Boycotts, mette tra parentesi, senza dimenticarli, i boicottaggi olimpici, gli eventi sportivi con il più forte e conosciuto impatto politico.

Il concetto centrale che anima e collega storie tra loro non vicine culturalmente e geograficamente, pur inquadrabili nello schema complessivo, è quello della mancata disconnessione delle relazioni internazionali e del permanere di numerosi contatti a vario livello, fra variegati attori dello sport appartenenti ai due blocchi.

La prima sezione, sport strumento diplomatico, comprende tre studi, il primo di Sbetti sulla complessa questione di Trieste nell’immediato secondo dopoguerra, quello di Daniel Svensson e Anna Aberg sul progresso medico, scientifico e tecnico nello sci di fondo nel confronto comparativo tra Svezia ed Unione Sovietica, quello di Juan Antonio Simon, dedicato al franchismo alla ricerca di un ruolo attivo nello sport internazionale. Gli schieramenti politici sono decisivi, ma non implicano ovvie e deterministiche decisioni ciecamente in linea con lo schieramento d’appartenenza. Gli atleti, con le loro vite e ambizioni, sono sballottati da manovre di più alto livello, ma svolgono una parte importante. Anche all’interno delle dittature vi sono posizioni diverse e la necessità pratica e diplomatica incide più dell’ideologia di riferimento.

La seconda sezione studia casi nei quali lo sport ha oltrepassato con successo e continuità la cortina di ferro. Il saggio di Sylvain Dufraisse rileva la puntualità e la lucidità strategica dell’Unione Sovietica nell’allacciare contatti con i paesi dell’opposto schieramento. Lo studio pionieristico di Stefan Scholl pone l’attenzione sul ruolo delle Conferenze sportive europee promosse e ispirate da un’istituzione mondiale, le Nazioni Unite, onde favorire gli scambi europei fra metodologie ed esperienze, con il supporto di un corpo diplomatico di secondo livello, quello degli alti dirigenti sportivi. E’ però il saggio di Vonnard e Kevin Marston sul ruolo delle competizioni dell’UEFA, in primis la Coppa dei Campioni, ma anche il Torneo giovanile europeo, a portare la discussione nel suo cuore tematico, rispondendo in profondità al progetto di pubblicazione. L’UEFA, organo autenticamente europeo e non comunitario, garantì, stagione dopo stagione funzionalità e sicurezza nelle partite inter-blocchi, attendibilità arbitrale, permise trasferte di giocatori e cittadini in paesi sconosciuti diplomaticamente, favorì una pratica coesistenza pacifica.

La terza sezione infrange volutamente il sotto-titolo del libro Sport during the Cold War in Europe. Tutti e quattro i saggi hanno respiro internazionale. Il contributo di Claire Nicolas rivela le finalità pan-africane di una politica d’inquadramento marxista dei giovani del Ghana. François Doppler-Speranza focalizza l’obiettivo sul ruolo dei soldati americani di stanza in Francia impiegati nella pallacanestro, ambasciatori di spessore morale, modelli di assoluta implicazione individuale e compattezza collettiva nell’esprimere una giustificata scelta occidentale di vita.

Attraverso un’acuta comparazione delle fonti, Souvik Naha rivela la complessità del celebrato campionato mondiale di scacchi tra Boris Spassky e l’americano ribelle Bobby Fischer. Prima della postfazione di Martin Polley, l’ultimo saggio di Quentin Tonnerre e Quin analizza un caso politico e diplomatico del ping-pong tra Svizzera e Cina, dove, ancora, la volontà di non chiudere le relazioni e di rimanere in connessione ha prodotto risultati.

Il libro cerca di essere un equilibrato e originale composto di soggetti di forte coinvolgimento storiografico, quali le vicende del calcio europeo, le scelte delle dittature nello sport e i ruoli cruciali dei paesi neutrali, con altri argomenti apparentemente secondari e più distanti. Oltre alla scarsezza del tema femminile, forse v’è squilibrio fra saggi prodotti di ripetute riflessioni, quali quelli sul calcio e sport invernali, con alcuni che appaiono di minore elaborazione, come il saggio sul Ghana, utile alla volontà editoriale d’inclusione globale.

Il progetto alimenta l’interesse per un’epoca da esplorare e l’apprezzamento va all’esclusione dell’olimpismo, dunque risultante o concentrato con autonome variabili di canali inter-relazionali più complessi. E’ pertinente l’invito all’analisi di più discipline, talune insondate. Sono augurabili ripensamenti critici sulle pur conosciute vicende dell’atletica leggera e pesante, in linea con il tema della volontà di non disconnessione.