Recensione
Daniele SERAPIGLIA (a cura di), Tempo libero, sport e fascismo, Bologna,
BraDypUS Communicating Cultural Heritage, 2016, 252 pp.

Stefano Marrone

Retroterra culturale dell’opera sono i nove seminari tenuti fra il 2005 ed il 2015 dalla Refat, Rete per lo studio dei fascismi, autoritarismi, totalitarismi e transizioni, che raccoglie l’attività di studiosi del fascismo e delle opposizioni alle dittature provenienti da Italia, Portogallo, Spagna e Brasile: nello specifico, il penultimo di questi congressi, tenutosi nel 2014 a Siena, “Tempo libero, sport e fascismo” è lo spunto di partenza per l’omonima opera curata nel 2016 da Daniele Serapiglia, ricercatore integrato presso l’Universidade Nova de Lisboa.

Alla realizzazione del libro hanno contribuito vari studiosi provenienti dalle Università di Bologna, Siena, Coimbra, San Paolo e Vigo. I sedici articoli che compongono l’opera sono suddivisi in quattro parti, ognuna incentrata sul significato dello sport e del tempo libero nei fascismi degli anni Venti e Trenta.

Nella prima parte del testo si delineano le caratteristiche, le somiglianze e le differenze del modello sportivo fascista con quello nazista. Luis Reis Torgal si è occupato dell’organizzazione dopolavoristica portoghese Fundação Nacional para a Alegria no Trabalho, nata nel 1935 all’interno dello Estado Novo lusitano a cui sopravvisse, mentre Priscilla Perazzo e Mariana Lins Prado hanno analizzato l’influenza dell’ideologia nazista nelle scuole germaniche del Brasile degli anni Trenta, in particolar modo delle pratiche razziste ed antisemite, del tutto assenti nel Brasile dell’epoca. Di Paolo Capuzzo è poi la disamina delle Olimpiadi di Berlino del 1936, con particolare enfasi sulle innovazioni apportate dal Terzo Reich alla macchina organizzativa della kermesse olimpica.

La seconda parte del volume si focalizza sull’architettura e gli spazi dello sport nei regimi. Heloisa Paulo ha analizzato lo sforzo della propaganda portoghese di sfruttare l’inaugurazione dell’Estadio Nacional per cercare di superare la contraddizione fra l’”Homen Novo” ideale e un leader come Salazar, che, poco incline allo sport, fu dipinto pertanto come “o grande arbitro”; Jorge Pais de Sousa ripercorre la storia del corpo in Portogallo, dal suo essere nascosto, poi tollerato ed infine reintegrato nell’Estado Novo, attraverso i concetti di biopolitica e modernismo. Nuno Rosmaninho invece eleva a simbolo dello sviluppo dello sport in Portogallo le terme della Curia, uno spazio rurale tra Aveiro e Coimbra, dove convivevano elitismo e sport popolare e Marcos Guterman infine ha confrontato l’idea autoritaria e la celebrazione del potere nell’architettura degli stadi di San Paolo, Berlino e Roma.

Tema centrale della terza sezione dell’opera è la disamina dei vari sport di squadra ed individuali nei regimi fascisti. Saverio Battente ha analizzato il caso della pallacanestro come esempio dell’impatto dello sport nel processo di identità nazionale nel corso del Ventennio; mentre Daniele Serapiglia si è occupato della storia sociale della “palla al volo” in epoca fascista, della scarsa considerazione che le diede il regime e di come iniziò invece a farsi largo tra le donne. L’articolo di Fabio Caffarena e Federico Croci sulla trasvolata atlantica Italia-Brasile del 1930-31 realizzata dagli idrovolanti di Balbo mette in luce il carattere fascista dell’impresa; Maria das Graças Andrade Ataìde de Almeida invece ha analizzato la partecipazione della Seleção brasiliana al mondiale di calcio 1938 ed il dibattito sulla presunta superiorità della razza meticcia nella stampa carioca. Il razzismo è ­infine il tema centrale dell’ articolo di Fernando Tavares Pimenta sull’organizzazione dello sport nella ­colonia portoghese del Mozambico.

L’ultima parte del libro è poi incentrata sul legame fra sport e propaganda. Ana Martins si ­occupa delle riviste nella stampa periodica del periodo getulista; Alberto Pena-Rodrìguez analizza il ruolo dello sport negli intercambi culturali fra i due fascismi iberici; infine Francisco Pinheiro ha studiato l’idea dello sport nella rivista sportiva più importante del regime salazarista, “Stadium”.

Questo libro riesce a cogliere ed analizzare con perizia bibliografica il rapporto biunivoco fra fascismo e sport, innalzandolo ad un livello di comparazione internazionale e poliglotta. Il filone sempre attuale di ricerca sulle dittature degli anni ’20 e ‘30 potrà d’ora in avanti giovarsi di una preziosa base di partenza per lo studio comparato dei fascismi internazionali.