Recensione
Diego MARIOTTINI, Tiki Taka Budapest. Leggenda, ascesa
e declino dell’Ungheria di Puskás, Torino,
Bradipolibri, 2016, 200 pp.
Luigi PANNELLA, Colonnello Ferenc. La leggenda di Puskás tra Honvéd, Real e Grande Ungheria, Roma,
UltraSport, 2017, 192 pp.
Roberto BRAMBILLA e Lorenzo LONGHI, Non solo Puskás. Il calcio ungherese prima e dopo l’Aranycsapat, Praga, Urbone Publishing, 2017, 185 pp.

Lorenzo Venuti,

Università di Firenze

La recente riscoperta del calcio danubiano, testimoniata dalla ristampa de La squadra spezzata di Luigi Bolognini e dalla fortunata puntata dedicata a Ferenc Puskás del programma di Federico Buffa Storie di Campioni, ha stimolato la pubblicazione di nuovi libri sul calcio magiaro, tema di grande interesse ma sostanzialmente ignorato in Italia.

In ordine cronologico, nel 2016 fu il giornalista free-lance Diego Mariottini, già avvezzo a lavori sugli intrecci calcistico politici, a interessarsene, offrendo al pubblico Tiki Taka Budapest, un volume sull’epopea calcistica della grande Aranycsapat, la “Squadra d’oro” degli anni ’50 magiari. La narrazione segue un ordine più o meno cronologico, e ripercorre in manera sintentica tutte le principali vicende di Puskás & compagni, eccezion fatta per gli ultimi tre capitoli del volume, che trattano di episodi ex post. Accanto ai grandi eventi sportivi, Mariottini delinea, o almeno abbozza, l’importanza dal punto di vista sociale della Nazionale di calcio ungherese nella Repubblica popolare e di come un’intera nazione si sentì tradita dalla finale di Svizzera ’54. Ad essere del tutto sinceri, la sua scommessa riesce solo a metà e il giudizio sul volume non può essere pienamente positivo. Il testo, che vuol essere un saggio divulgativo, malgrado qualche interessante riflessione proveniente dal lavoro di ricerca effettuato su giornali italiani come «L’Unità» e «La Nazione», offre un racconto che è pesantemente debitore dei lavori di Bolognini e di Buffa. Un compendio insomma, un riassunto efficace che non presenta bibliografia e note, ma che può essere utile come introduzione. Il problema sta però nella poca cura dei dettagli mostrata da Mariottini, che effettua, certamente per ragioni di sintesi, ricostruzioni che possono essere definite talvolta approssimative, dalle quali il lettore può trarre conclusioni sbagliate. Ad esempio quando il libro accena ad una doppia finale Ungheria-Jugoslavia durante i Giochi olimpici del 1952: una prima nel torneo di pallanuoto, l’altra in quello calcistico. Non è infatti specificato che il primo torneo non avesse partita secca, ma un girone finale dove concorrevano diverse squadre, fra cui anche Ungheria e Jugoslavia. Mariottini invece scrive che: «quello stesso sabato 2 agosto Ungheria e Jugoslavia si contendono in finale anche un’altra importante medaglia d’oro, quella della pallanuoto» (p. 71). Rafforzando l’idea di un doppio confronto qualche pagina più tardi: «Contemporaneamente, arriva un’altra bellissima notizia: l’Ungheria ha appena sconfitto la Jugoslavia anche nella pallanuoto» (p. 74). La Vízilabda-válogatott (Nazionale di pallanuoto) giocò effettivamente il 2 agosto, ma il suo contendente non era la Jugoslavia (battuta tre giorni prima) ma un altro avversario tutt’altro che di secondo piano: gli USA.

Nell’aprile del 2017, quasi un anno dopo il volume di Mariottini, vide la luce Colonnello Ferenc, del giornalista del gruppo Espresso Luigi Pannella. Una vera e propria “biografia sportiva” del capitano della Grande Ungheria, Ferenc Puskás, che alterna le vicende personali del capitano dell’Aranycsapat al suo più generale contesto sociale e politico, sulla scia dell’autobiografia, Ferenc Puskás: Captain of Hungary (F. Puskás, 1955), e dei volumi lui dedicati Puskás on Puskás (R. Taylor, 1998) e Puskás (G. Szöllősi, 2016). Il testo, che esordisce con una riflessione sul significato del grande calciatore nell’Ungheria odierna, percorre in ordine cronologico le principali tappe della vita sportiva di Öcsi. Dall’esordio nel Kispest, quando ancora la seconda guerra mondiale imperversava a Budapest, alla nomina di Colonnello in concomitanza della trasformazione della squadra nella celebre Honvéd. Infine, dopo il ’56 le vicende del Puskás allenatore in Grecia e Australia, senza tralasciare l’esperienza come pancho a Madrid. Il volume di Pannella ha un carattere divulgativo e non è presente né bibliografia né note, ma il testo risulta comunque di notevole interesse, anche per chi ha già una certa conoscenza del tema trattato. Ogni partita, ogni occasione, è ben sfruttata dallo scrittore, che compie spesso intercalari degni di nota, come in occasione della partita fra Italia e Ungheria del ’47 (1-1), divenuta scusa per un breve riassunto che illustra le vicende della Coppa Internazionale del 1933-1935, vinta dalla selezione azzurra. Ed è forse in questo che il volume trova dei limiti: il focus è incentrato sul calciatore ungherese, certo, ma spesso gli episodi vissuti da Puskás sono utilizzati per approfondire vicende italiane. Un libro valevole di attenzione, che ha il merito di concedere grande spazio alle 25 immagini che si alternano nelle quasi 200 pagine di cui è composto.

Infine, sempre nel 2017 è stato pubblicato Non solo Puskás, dei giornalisti Roberto Brambilla e Lorenzo Longhi, unico fra i testi citati strutturato come un vero e proprio saggio scientifico, corredato da bibliografia e apparato di note. Le stesse intenzioni degli autori sono lodevoli: fornire un volume che possa illustrare in una cornice di più ampio respiro il calcio ungherese, non riducendolo al semplice binomio Aranycsapat & Puskás. Una strada che è stata recentemente intrapresa dagli stessi magiari che, attraverso i libri di Péter Szegedi (Riválisok 2014, Az első aranykor 2016), che hanno riscoperto le grandi vittorie della Válogatott prima della generazione dorata degli anni ’50.

A seguito di una parte introduttiva sulla geografia calcistica di Budapest, il volume ripercorre le principali tappe del calcio magiaro, riflettendo, attraverso i grandi campioni che ne hanno calcato i campi, la storia più generale del paese di Santo Stefano. Dopodiché la narrazione affronta il periodo più famoso degli anni ’50, passando poi alle tristi vicende dell’Ungheria calcistica post ’56, da Flórian Albert sino al pallone post-comunista. Infine, in un ultimo capitolo, i due autori si concentrano sull’eredità di Puskás nell’Ungheria attuale, fra bar, futuri stadi e accademie di calcio dedicate.

Il giudizio sul volume non può che essere positivo: attraverso la narrativa di Brambilla-Longhi si analizzano le principali problematiche del calcio magiaro, non limitandosi alle figure più conosciute ed affrontando per esempio il grande exploit del calcio ebreo, vero fiore all’occhiello del movimento sportivo magiaro del primo Novecento. Il testo offre insomma un’introduzione al calcio del paese, un valido strumento che sconta però un evidente limite linguistico. Ad esempio, a pagina 48 si può leggere che «Nel 1907, quando però il Törekvés, il cui nome letteralmente significa “sogno ad occhi aperti”». Törekvés, deriva dal vero törekedik, traducibile come sforzarsi, aspirare, impegnarsi: facile capire che il sostantivo ricavato dal verbo non abbia assolutamente niente a che vedere – almeno a livello letterale – con il sognare ad occhi aperti. Molto positivo, invece, l’impatto del capitolo finale, dove Longhi e Brambilla si soffermano sull’interesse del Premier magiaro Viktor Orbán per il calcio e dell’utilizzo dell’immagine di Öcsi, nella squadra fondata dallo stesso, la Puskás Ferenc Labdarúgó Akadémia. Insomma, un testo valido ma non esaustivo che, più che ridursi ad un sequenza di informazioni, ha il merito di stimolare interesse verso un mondo così affascinante quale quello del pallone magiaro.