L’eredità di una vittoria storica. Trent’anni dal primo scudetto del Napoli (Università di Napoli – 9 maggio 2017)

Lorenzo Fattori

Pochi eventi sono ancora così vivi nella storia della città di Napoli come la vittoria del primo scudetto di serie A da parte della SSC Napoli, nella stagione 1986-87. In occasione del trentennale di quell’avvenimento, il Dipartimento di Scienze sociali dell’Università degli Studi di Napoli Federico II ha organizzato una tavola rotonda intitolata “L’eredità di una vittoria storica”, coordinata dai professori Luca Bifulco e Francesco Pirone. La giornata ha visto gli interventi di Nicola de Ianni e Guido Trombetti della Federico II, di Guido Panico dell’Università degli Studi di Salerno, di Oscar Nicolaus dell’Università Suor Orsola Benincasa, di Francesco de Luca, giornalista de Il Mattino, e di Massimiliano Gallo, direttore responsabile della rivista online “Il Napolista”. Arturo de Vivo, prorettore della Federico II, e Enrica Amaturo, direttrice del Dipartimento di Scienze sociali, hanno aperto la discussione, portando i saluti istituzionali.

L’iniziativa è stata pensata, sin dal principio, non come la consueta e, ormai a tratti, stucchevole passerella rievocativa, bensì come l’occasione per interpretare quell’avvenimento alla luce del mutato periodo storico e per utilizzarlo come strumento in grado di cogliere i cambiamenti sia del sistema calcio, sia della città di Napoli. I due poli del ragionamento dispiegatosi nell’incontro sono stati quindi la squadra e la città.

Innanzitutto si è affrontato il tema del contesto sportivo: la stagione 1986-87 cade subito dopo la metà di un periodo di grazia per il calcio italiano, ovvero quello che intercorre tra la vittoria della Nazionale al campionato mondiale di Spagna del 1982 e il mondiale “in casa” del 1990. È un periodo che vedrà ingenti investimenti, pubblici e privati, nel calcio e in cui, come sottolineato da Nicola de Ianni, tale era la potenza economica e mediatica della serie A che anche una “provinciale” come l’Udinese poteva permettersi l’acquisto di una delle stelle del calcio mondiale, Zico, leader della nazionale brasiliana.

Si tratta di un momento storico in cui, in realtà, sono già poste le premesse per le difficoltà del Napoli nel decennio successivo: la società, infatti, già nel 1981 presentava uscite superiori alle entrate, e nel 1985 il presidente, Corrado Ferlaino, come da lui stesso dichiarato, aveva «poco da perdere». La squadra si teneva in piedi, in pratica, grazie a un sistema di società di copertura, mentre tutto il modello di business, basato su un’incidenza al 60% della vendita di biglietti e abbonamenti, sui ricavi del Totocalcio e solo all’8% sui diritti TV e le sponsorizzazioni, sarebbe mutato radicalmente negli anni successivi al 1990. Ne deriva un Napoli avviluppato nei debiti fino alla crisi del 1993, con l’emersione di un ingente debito nei confronti del Comune e dell’erario, debito tuttora fonte di controversie tra la squadra e l’amministrazione cittadina.

Ciò che si sviluppò nel 1987 fu una vera e propria simbiosi tra la squadra e la città, quest’ultima proveniente da periodi difficili (il terremoto su tutti). La squadra incarnò per Napoli sia il riscatto sociale (seguito però, in questo caso, dalla sconfitta economica), sia il trionfo del carattere della creatività, come evidente nel racconto, ormai arcinoto, dello stratagemma necessario a concludere “in tempo” l’acquisto di Maradona.

Acclarato che Maradona fu fondamentale, resta da dire come il Napoli, sia come società, sia come squadra, fosse composto da uomini di grandissime capacità: dirigenti come Allodi e Marino, calciatori come Bagni, Garella, Giordano e altri. Il ruolo di Maradona fu quello di portare la “mentalità vincente” e la fame di successi lo fece subito, insieme alle sue umili origini, identificare con la città stessa.

Il Napoli di De Laurentiis è forse l’opposto di quella formazione: composto di tantissimi giocatori stranieri ma con una stella nata e cresciuta “in casa”; nonostante il suo modello di business pienamente al passo con i tempi sembra però quasi schiacciato dall’inevitabile (e ingiusto) confronto e dal non essere ancora riuscito a vincere qualcosa di paragonabile ad uno scudetto che Ferlaino definì «un bagno di sangue» (economico).

Anche l’altro polo su cui si è concentrata la discussione - quello della città - è stato oggetto di interessanti riflessioni: su tutte quella di Massimiliano Gallo, secondo cui lo scudetto si inserisce nel contesto di una città forte, non solo economicamente, ma soprattutto politicamente. La stagione 1986-87 è perfettamente contemporanea, se non per pochi giorni, al Governo Craxi II, nel quale il territorio napoletano era rappresentato da dieci tra ministri, vice ministri e sottosegretari. Tale amministrazione voleva presentare un’immagine giovane e fresca dell’Italia e non sottovalutava la componente promozionale legata al calcio. D’altronde, Napoli era la città della “corrente del Golfo” di Gava e Scotti, di Paolo Cirino Pomicino detto ‘O ministro, dei sindaci Carlo d’Amato e Pietro Lezzi, entrambi del PSI: insomma un contesto politico dal quale il Banco di Napoli traeva piene garanzie politiche per sostenere la SSC Napoli. Paragonare questa situazione con l’attuale isolamento istituzionale del Comune di Napoli è indicativo delle differenze.

Ciò che possiamo dire in conclusione è che il primo scudetto rappresenta un passaggio colmo di contraddizioni, che ancor oggi, a trent’anni di distanza, spiega molto di Napoli e del Napoli; ma il suo miglior messaggio è forse che la SSC Napoli, per proseguire la sua affermazione, deve continuare, come sta facendo, a costruire il proprio discorso sportivo adeguandosi ad un panorama in costante mutamento.