Bologna come epicentro e laboratorio dello sport fascista

Uno sguardo su e oltre Leandro Arpinati

Pierfrancesco Trocchi

Società Italiana di Storia dello Sport

Abstract:  In a broader perspective of understanding the fascist sport, the article aims to analyse its dynamics in the context of the city of Bologna during the Ventennio. We will see how Bologna tried to establish itself as the Italian “Capital of sport”, thanks mainly to the reorganizational and creative efforts of the hierarch Leandro Arpinati. In order to do this, we will look at articles published in «Il Comune di Bologna» (1924-1939), the Municipal magazine of the city. The analysis of Bolognese events will show how the sporting fortunes of the city were closely linked to the political fortunes of Arpinati, who implemented and maximized the dynamics of national sport in Emilia. In fact, he was able to both live by the spectacularization advocated by the Regime thanks to a monumental arena such as the "Littoriale" - with Bologna FC as its main mascot – as well as pursue the massifying aims of the dictatorship by constantly involving schools and local groups in educational physical activities. Finally, the creation of the Institute for Sports Medicine satisfied the Fascists’ desire to provide sport with a medical legitimacy according to “hygienist” doctrines. Lastly, it will be seen how the interest of the mayors of Bologna in sporting activities both diminished and changed after 1933, the year of Arpinati's fall from grace. The aim of this paper is to outline Fascism’s attempt to make Bologna not only "la Dotta" (“the Learned”) but also "la Sportiva", an attempt which only partially succeeded under Arpinati's influence.

Keywords: Bologna, fascism, Arpinati, Littoriale

Introduzione

Nella prospettiva di una piena comprensione a livello nazionale delle dinamiche dello sport fascista, vettore identificativo per gli appassionati e, al contempo, strumento di affermazione istituzionale, personale e ideologica, è di variegato interesse esaminare il percorso delle vicende sportive sul piano locale, nel nostro caso specialmente esemplificativo e privilegiato. Tratteremo, infatti, di come le attività agonistiche ottennero la propria legittimità sociale e politica nel contesto della Bologna fascista, in particolare nel tratto in cui essa fu governata, direttamente o tramite longa manus, da Leandro Arpinati. Si compirà questo percorso servendosi della rivista municipale felsinea, «Il Comune di Bologna», ponendo specifica attenzione ai fascicoli pubblicati tra il 1924 e il 1939, messi a disposizione degli utenti nell’apposita sezione[1] presente nel sito web della Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna. Si cercherà, infine, di lasciare spazio alle parole e alla retorica, debitamente commentate ed indirizzate, del tempo, esercizio senza il quale risulterebbe impossibile comprendere appieno le teorie e le finalità alla base dello sport fascista nella sua declinazione bolognese.

Leandro Arpinati, il «papa dello sport»

Nato nel 1892 a Civitella di Romagna e, dunque, conterraneo di Benito Mussolini, Leandro Arpinati si trasferì a Bologna nel 1912 trovando impiego come lampista ferroviario. Già nel 1920, pur avendo una formazione politica di stampo anarco-individualista, prese il controllo del fascio bolognese, distinguendosi come efficace uomo d’azione nella difesa dei locali interessi piccolo borghesi e nella fascistizzazione delle istituzioni[2]; fu, invero, il fautore del raid antidemocratico di Palazzo d’Accursio del 21 novembre 1920, quando le camicie nere sovvertirono il risultato delle elezioni comunali, vinte dai socialisti[3]. Prono al pragmatismo più che all’ars rethorica, a causa di frequenti dissidi con i gerarchi Dino Grandi e Gino Baroncini nel 1921 fu emarginato dalle dinamiche del fascio felsineo, ma nel 1922 Mussolini, con il quale Arpinati aveva un rapporto di speciale confidenza, lo rimise a capo dei fascisti petroniani[4], affidandogli l’occupazione degli edifici pubblici del capoluogo emiliano nei cruciali giorni della marcia su Roma[5]. Dopo il delitto Matteotti, con Baroncini uscito di scena già dal 1924 e Grandi nominato sottosegretario agli Esteri, Arpinati poté isolare le frange estremiste e permettere l’avvicinamento di altri attori sociali al fascismo[6]: libero dal timore di sortite da parte dei nemici politici, nel settembre 1925 Arpinati fu eletto dal segretario del PNF Farinacci commissario della federazione provinciale dei fasci[7], divenendo così il “ras dei ras”. Consacrò definitivamente il proprio potere su Bologna il 16 dicembre 1926, quando ottenne la carica di podestà della città.

Tra gli assi principali del potere arpinatiano vi fu certamente lo sviluppo dello sport felsineo. Se a livello nazionale l’impegno del gerarca di Civitella si materializzò nella presidenza di FIDAL (1927-1929), FIGC (1926-1933), FIN (1930-1933) e CONI (1931-1933)[8], a livello locale egli si applicò in ogni modo per aggiungere un nuovo attributo a quelli proverbialmente riservati al capoluogo emiliano: «Così coloro che per una predilezione del pittoresco linguaggio figurato amavano chiamare Bologna la dotta e la grassa dovranno d’ora in poi completarla con un terzo aggettivo necessario, se non indispensabile: la sportiva. Bologna la sportiva, anzi, tout court[9].

La promozione delle attività sportive fu particolarmente intensa, con un dispendio di energie umane, politiche ed economiche che assecondava – e, in taluni casi, anticipava – lo sfruttamento da parte del Regime dello sport come instrumentum regni. Arpinati era innanzitutto un appassionato praticante, come dimostrano la sua partecipazione all’edizione del 1927 della corsa “Mille Miglia” (durante la quale fu vittima di un grave incidente), la sincera amicizia con Enzo Ferrari, allora un semplice pilota, e il raid politico-sportivo Bologna-Roma, in cui guidò il 10 e l’11 agosto 1924 una coreografica colonna di automobili per portare sostegno a Mussolini[10].

Sotto le due Torri il ras sviluppò lo sport su due piani, ovvero alimentandone la valenza sociale di collante interno al tessuto urbano e, contemporaneamente, facendone leva di affermazione della città come centro sportivo di preminenza nel panorama italiano. Alla prima necessità rispondevano misure quali la creazione di premi ambiti come la “Coppa Dux” per il tiro a segno[11], la “Coppa Oscar Paoletti” per i minori di sedici anni, la “Coppa Gian Carlo Nannini” di atletica leggera e, tra le altre, la “Coppa Mario Ghinelli”, intitolata al fedelissimo collaboratore del “ras dei ras” e riservata agli atleti dopolavoristi dei diversi rioni. Il trofeo più importante, però, era la “Coppa Leandro Arpinati”, istituita nel 1927, che veniva assegnata al gruppo rionale[12] in grado di aggiudicarsi il punteggio migliore dopo una serie di gare in diverse discipline sportive; il gruppo vincitore si sarebbe messo a capo del corteo rionale nelle manifestazioni ufficiali, con l’onore di sventolare il proprio vessillo[13]. La prima gara della prima edizione della rassegna accolse la partecipazione di soli tre sodalizi rionali[14], anche se già nel 1930 se ne contavano ben diciassette[15].

Un ulteriore passo nel senso di una vivacizzazione organizzata dello sport felsineo fu l’istituzione tra il 1927 e il 1928 della società “Bologna sportiva”, che già nel 1932 inquadrava circa 1500 atleti nelle più disparate sezioni sportive, suddivise a loro volta in decine di associazioni, tra le quali il Bologna FC. Tale “superfederazione” faceva capo allo stesso Arpinati, che, al di là delle esagerazioni apologetiche, dimostrò davvero un’applicazione indefessa nel rendere la città da lui governata la «capitale sportiva d’Italia», per consacrare «l’inquadramento dello sport fra le forze vive della Nazione» e togliere ad esso «quella errata caratteristica di passatempo domenicale, di divertimento di tribù di sfaccendati che ebbe sempre per l’innanzi»[16]. La “Bologna sportiva” dunque «contribuì a rendere l’Emilia-Romagna una delle regioni sportive più forti in Italia»[17] attraverso la creazione «di una coscienza sportiva bolognese»[18].

In questo processo, la Casa del fascio bolognese rappresentava il trait d’union tra la gestione dello sport locale e di quello italiano. Quando la FIGC passò sotto il controllo arpinatiano nell’agosto di quel 1926 che, come vedremo, ospitò anche l’inaugurazione del “Littoriale”, la sua sede fu trasferita a Bologna, che «per la sua posizione geografica […] [era] l’unica città che poteva aspirare a questo privilegio»; era il momento giusto per sventare «quei dubbi, di assai dubbia origine, su la maturità sportiva»[19] della città. Le incertezze furono completamente cancellate il 19 marzo 1927, ossia il giorno che consegnò al podestà felsineo anche la presidenza della FIDAL, i cui uffici, naturalmente, trovarono nuova collocazione sempre nella Casa del Fascio. Non c’è da stupirsi di questa sovrapposizione, soprattutto alla luce dell’ipotesi, caldeggiata all’inizio del 1927, di fondere le due Federazioni in un unico organismo. Tale idea nasceva sulla scorta dell’inarrestabile ascesa del calcio a sport nazionale, al cui miglioramento strutturale e tecnico-agonistico era già venuta in provvidenziale soccorso la “Carta di Viareggio”, che aveva portato all’introduzione dei rimborsi spese e alla distinzione tra giocatori “dilettanti” e “non-dilettanti” per aumentare la qualità agonistica in modo da imporsi a livello internazionale. Il progetto avrebbe lasciato alla FIDAL autonomia rispetto alle questioni tecniche, mentre avrebbe consentito alla FIGC di propagandare la pratica dell’atletica leggera fino a renderla obbligatoria per tutti i tesserati delle società calcistiche, con l’obiettivo di creare «calciatori-atleti» e di «far praticare gli esercizi dell’atletica leggera a tanti giovani»: insomma, si voleva «l’atleta completo»[20]. Ciononostante, la proposta non venne ratificata, ma, all’atto pratico, le due federazioni condividevano fini e modalità, giacché entrambe facevano capo ad Arpinati nel contesto della Casa del fascio petroniana. Al primo piano di Palazzo Fava si trovavano le stanze della FIGC, mentre al secondo piano trovava posto la sede della FIDAL; l’ambiente era galvanizzato da «mille progetti, primo fra tutti quello di piantare a Bologna una vera e propria Università sportiva» volto alla «valorizzazione atletica dal punto di vista eugenico e androtecnico, con particolare attenzione all’istruzione preatletica correttiva, per tutti i bambini delle scuole elementari»[21].

Quello dell’Università sportiva era destinato a rimanere soltanto un proposito, ma la determinazione di fare di Bologna un centro all’avanguardia sportiva in ambito italiano ed europeo era ben chiara. L’obiettivo dichiarato era che tutti, arrivati ai diciotto anni, ottenessero il brevetto di atleti, poiché l’atletica era deputata a divenire «una pratica generale del nostro popolo»[22]. Con tutto ciò, FIGC e FIDAL, sebbene i più importanti, non erano gli unici dicasteri presenti nella Casa del fascio, giacché vi trovavano sede, tra gli altri, l’Ispettorato sportivo delle scuole medie, quello dei circoli rionali bolognesi, il GUF e il distaccamento locale dell’ONB[23]. Di fronte a questo esemplare accentramento, l’agiografia di Regime consegnò ad Arpinati il soprannome di «papa dello sport»[24]. La definizione, tratta dal libro Mussolini e lo sport del giornalista ungherese Ludving Dénes, fu ripresa sulle colonne de «Il Comune di Bologna», che riportava altri stralci dell’opera illustrante le politiche sportive del Regime. Dénes decantava così le lodi del ras di Civitella:

Come il fascismo lo si può conoscere – afferma il Ludving – soltanto attraverso la personalità di Mussolini, così Bologna ed il suo stadio, unitamente allo sport italiano, si possono conoscere soltanto attraverso Arpinati. La sua fronte è illuminata dalla devozione di una città rinata. È indiscutibile – così dice più avanti – che oggi il centro dello sport italiano, la Roma dello sport è Bologna[25].

Fu, quindi, lo stadio “Littoriale”, «il tempio delle future generazioni», a fare assurgere la realtà petroniana a «città che insegna non solo la scienza, ma anche l’arte della forza e della potenza di una Nazione»[26].

Un «Colosseo» per Bologna: il “Littoriale”

La scelta di costruire un centro polisportivo a Bologna si profilò da subito come risposta ad esigenze al contempo locali e nazionali, per segnare la città «saldamente sulla mappa e aiutare l’Italia ad attrarre i maggiori eventi sportivi che sarebbero serviti ad aumentare la propria rispettabilità interna e internazionale»[27]. Nessun altro impianto godette di un’eco mediatica così imponente e capillare, sia per la portata dell’opera in sé sia per la rilevanza dell’ubicazione, vale a dire una Bologna che nella seconda metà degli anni ’20 e fino al termine delle fortune politiche di Arpinati era indubbiamente al vertice istituzionale – e non solo – dello sport della Penisola. L’ermeneutica dell’importanza del “Littoriale” segue uno schema tipicamente fascista, ovvero quello dell’irradiamento valenziale da un epicentro urbano verso un coinvolgimento dell’Italia nel suo intero. Arpinati si era infatti dedicato «a imprese di carattere cittadino, provinciale, regionale, nazionale con animo invitto e con incrollabile fede», certificando il valore di questa progressione e «la sua opera veramente fascista, di buon costruttore» con «finalmente – superbo e veramente degno dell’impero – il Littoriale! […] immensa arena onnisportiva, da considerarsi tra le opere ciclopiche e più eccelse dell’era fascista[28].

L’opera, la cui ideazione risale ai primi mesi del 1924, doveva essere appunto maestosa perché espressione del fascio bolognese rappresentato dal ras non ancora podestà. Pertanto, egli si premurò da subito, attraverso le colonne de «Il Resto del Carlino» e de «L’Assalto»[29], di specificare che l’iniziativa scaturiva da lui in persona e, dunque, dall’intraprendenza in camicia nera, non di certo dall’amministrazione comunale[30]. Il “Littoriale” doveva infatti testimoniare la vittoria del fascismo e della rinnovata romanità imperiale, come sottolineò lo stesso gerarca romagnolo: «L’idea di costruire un grande stadio a Bologna mi venne visitando le Terme di Caracalla»[31]; ciò che è certo è che egli si ispirò all’architettura stadiale europea, che aveva saggiato in praesentia, e in particolare a quella francese, tedesca, cecoslovacca e ungherese[32].

Nel luglio del 1925 «Il Comune di Bologna» presentò dettagliatamente il progetto del “Campo Polisportivo”, così come veniva chiamato il “Littoriale” prima che ne venisse decisa la denominazione ufficiale. Esso sarebbe stato «circondato da un anfiteatro a gradinate» con numerosi locali destinati in parte agli atleti e in parte a «esposizioni, trattenimenti d’ogni specie, dormitori, spogliatoi, totalizzatori […] a restaurant ed a caffè». Al centro della pista d’atletica si sarebbe esteso un «campo destinato al football, misura 120 per 75», dunque «un campo di spazio regolamentare […] per giocarvi anche le grandi partite internazionali»; le tribune avrebbero potuto contenere 40.000 spettatori – poi divenuti 60.000, un colpo d’occhio che avrebbe giustificato «chi disse che il Campo è un’opera romana». Tuttavia, «la parte nuova e più originale del Campo», che non si trovava «in nessuna parte d’Italia» era rappresentata da quella che sarebbe divenuta la prima piscina coperta in Italia, con posti riservati al pubblico e lunga 33 metri, «sufficiente per l’omologazione di qualunque record nazionale ed internazionale e […] riservata alle gare e all’allenamento degli atleti». Infine, la distribuzione degli ambienti annessi alla vasca avrebbe sempre permesso una separazione dei bagnanti dagli spettatori, mentre al primo piano avrebbe trovato collocazione «una sala per la scherma». Se la vasca coperta era destinata «a favorire l’allenamento degli atleti anche nel periodo invernale», per i mesi caldi si era pensato alla costruzione di una piscina scoperta, più ampia (la lunghezza sarebbe stata di 50 metri) e fornita di «un ampio anfiteatro a gradinata», sui lati minori riservato «ai posti popolari», in corrispondenza dei quali, curiosamente, sarebbero stati edificati «un locale per il barbiere ed uno per il parrucchiere»[33]. Nella chiosa dell’articolo si specificava:

Il Campo Polisportivo […] avrà gli sport alla base del suo funzionamento, ma sarà la palestra di ben altre gare. […] È chiaro che si parla di mostre ed esposizioni d’ogni genere, di cui Bologna, assecondato lo sforzo del fascismo, può e deve diventare il centro di irradiazione e il punto di raccordo. Tutto il lavoro italiano, dall’agricoltura all’industria, deve trovare nel Campo Polisportivo la più pratica e signorile ospitalità[34].

Mentre sulla stampa petroniana imperversava il dibattito rispetto al nome da dare al nuovo campo polisportivo[35], il 12 giugno del 1925 il Re Vittorio Emanuele III si recava a Bologna in visita ufficiale nel contesto delle celebrazioni per il venticinquesimo anno della sua ascesa al trono: non esisteva circostanza migliore per dare il via ai lavori per la costruzione del “Littoriale”. Accolto «nell’immenso spazio» da «falangi di camicie nere inquadrate perfettamente», Vittorio Emanuele III assistette al discorso di ringraziamento di Arpinati, in seguito al quale «l’Arcivescovo benedisse la pietra, il Re firmò la pergamena da includervi, quindi la pietra fu calata nella fondamenta»[36].

Il giorno dell’inaugurazione della struttura, tuttavia, sarebbe passato alla storia ammantato di sfumature più fosche. Il 31 ottobre 1926, infatti, ad un triplice squillo di tromba sul prato del “Littoriale” apparve Mussolini, che, salito sul podio, pronunciò un panegirico per Bologna, «quadrivio strategico del fascismo italiano», animata da «un uomo, Leandro Arpinati, che ha creato con la sua volontà […] questo gigantesco Littoriale, che raccomanda la nostra generazione per tutti i secoli futuri»[37]. Al ritorno in stazione il Duce, che percorreva in automobile via Indipendenza, venne colpito di striscio da un colpo di pistola presumibilmente esploso da Anteo Zamboni, figlio quindicenne di Mammolo, tipografo anarchico e vecchio amico di Arpinati[38]. L’episodio segnò la svolta in senso autoritario del Regime, che il 5 novembre avrebbe approvato le misure eccezionali di polizia e i “provvedimenti per la difesa dello Stato”, ma non doveva avere scalfito il valore fascista della giornata: Mussolini stesso si premurò di telegrammare enfaticamente al “ras dei ras” che non avrebbe mai potuto «dimenticare lo spettacolo del Littoriale», dove «la selva dei moschetti oscurava il sole»[39], mentre il poeta Giuseppe Ungaretti cantò il battesimo del nuovo stadio, dedicando ad esso i seguenti versi: «Or dunque che è? / Mutata tu sei civiltà? / Questa palestra novella / è la sede più bella / di te, Verità?»[40].

I tempi record forzati da Arpinati avevano sì permesso l’ingresso di Mussolini e dei rappresentanti della società fascista, ma non quello degli atleti, in quanto i lavori erano ancora in corso d’opera. Passò, difatti, qualche mese ancora prima che il parterre del nuovo centro polisportivo felsineo non fosse calcato soltanto dalle autorità politiche. Non casualmente fu il calcio, con il suo portato sociale, massificatore e fascistizzante, a tenere a battesimo il “Littoriale”, su molti giornali definito “Mole arpinatiana” in ossequio all’opera costruttrice di Arpinati, almeno fino alla sua caduta in disgrazia. Era tempo di consegnare l’impianto alle sue piene funzioni, configurandosi come vettore dei riti e del parossismo iconografico della religione fascista.

Il calcio, ariete della massificazione sportiva arpinatiana

Nei primi mesi del 1927 la FIGC nella persona di Leandro Arpinati decise che la sessantaquattresima partita nella storia della Nazionale italiana di calcio si sarebbe giocata a Bologna nel neonato stadio “Littoriale”. La circostanza era, invero, eccezionale, in quanto si sarebbe trattato della prima gara degli azzurri ospitata dalla città di Bologna, fino a quel momento mai toccata da impegni calcistici internazionali. Il 29 maggio del 1927 si giocò il match amichevole Italia-Spagna, conquistato per due reti a zero dagli Azzurri, al cospetto di sessantamila spettatori e, soprattutto, del re Vittorio Emanuele III e dell’Infante di Spagna, il principe Don Alfonso di Borbone[41]. Da quel giorno fino al 1933 la Nazionale italiana transitò per ben sette volte al “Littoriale”, battendo la capitale Roma e Milano in questa particolare classifica. Tuttavia, il “Littoriale”, sebbene fosse il più moderno e capiente stadio della Penisola, non entrò nella rosa delle strutture ospitanti la Nazionale italiana nel contesto dei Mondiali di calcio del 1934: era la prima conseguenza fattiva dell’eclissi politica del gerarca romagnolo, della quale parleremo a breve.

Inoltre, la volontà di Arpinati di offrire un grande palcoscenico sportivo alla città era dovuta anche alla sua viscerale passione per il Bologna FC, un trasporto che si era trasformato in ingerenza quando, nella stagione 1924/25, egli aveva influenzato il risultato della terza delle finali interregionali tra Genoa e Bologna, la cosiddetta «partita delle otto ore»[42]. L’interminabile tenzone si concluse in favore dei petroniani, portando il 23 agosto 1925 alla conquista del primo alloro nazionale felsineo contro l’Alba Roma, passato alla storia come lo “Scudetto delle pistole”[43]. Nel giro di poco più di un anno lo scenario istituzionale, come abbiamo visto, mutò. Arpinati da capo del fascio bolognese e tifoso piuttosto caloroso divenne presidente della FIGC nel 1926, mentre nel 1927 la società rossoblù, che da un eccessivamente anglofilo “Bologna Football Club” passò ad un più italico “Bologna Sezione Calcio”, fu assorbita dalla “Bologna sportiva” e fece il proprio vittorioso esordio al “Littoriale”, avvenuto il 7 giugno contro i grandi rivali del Genoa. Nella stagione 1928/29 il nuovo stadio portò in dote ai petroniani il secondo titolo italiano, ancora con una finale plurima, ma questa volta contro il Torino; al contempo, la popolarità acquisita di quello che ormai era noto a tutti come lo “squadrone che tremare il mondo fa” aveva varcato i confini nazionali. Questa fama fu certificata nel 1932, quando la compagine petroniana partecipò per la prima volta alla “Coppa Europa” (chiamata anche “Coppa dell’Europa Centrale” o “Mitropa Cup”), conquistandola[44]. Per il ras di Civitella fu un trionfo: oltre a rallegrarsi in quanto tifoso rossoblù, in qualità di presidente della FIGC ricevette una medaglia d’oro «per l’opera che svolge[va] per l’incremento sportivo e per il miglioramento delle relazioni fra le diverse Federazioni»[45].

Due stagioni più tardi fu la volta del bis, ma il 1934 fu anche il primo anno in cui il sodalizio petroniano si ritrovò indipendente, giacché Arpinati aveva dovuto rinunciare alla guida della “Bologna sportiva” – di cui il Bologna SC, come summenzionato, faceva parte – a causa della sua scomparsa dalla scena politica[46]. Nell’aprile del 1933, infatti, a causa di dissidi insanabili con l’allora segretario del PNF Achille Starace, Arpinati era stato costretto a dimettersi prima da sottosegretario agli Interni e poi in maggio dalla presidenza del CONI e – molto dolorosamente – da quella della Federcalcio. Non bastò, perché ormai il gerarca romagnolo era diventato uno scomodo residuo del fascismo “eroico” delle origini e personaggio troppo in vista per non fare temere a Mussolini di poter raccogliere un pericoloso seguito attorno a sé[47]. Il ras bolognese fu pertanto arrestato nella sua tenuta di Malacappa, nei pressi di Bologna, la notte del 26 luglio 1934 e condannato per cinque anni, poi ridotti a due, al confino nell’isola di Lipari quattro giorni più tardi[48]. Era la fine della vita pubblica di Arpinati, mentre per la compagine emiliana gli anni fino al 1941 si configurarono come i più vincenti della propria storia, grazie alla conquista di quattro Scudetti e del prestigioso Torneo dell’Expo di Parigi nel 1937.

Il “Littoriale” come centro «onnisportivo»

L’impianto bolognese, tuttavia, non proponeva in cartellone soltanto incontri calcistici. Nel dicembre del 1926, poche settimane dopo l’inaugurazione mussoliniana del “Littoriale” e con le piscine del campo polisportivo ancora in costruzione, la Féderation Internationale de Natation Amateur (FINA) decise di assegnare l’organizzazione dei Campionati Europei di nuoto a Bologna. La modernità dell’impianto in via di ultimazione rappresentava un palcoscenico d’eccezionale valore per gli sport acquatici, che avevano avuto la loro prima rassegna europea soltanto nel 1926 stesso. Al contempo, naturalmente, era un’occasione propagandistica imperdibile per il giovane Regime, desideroso di mostrare il lato migliore di sé al mondo. La competizione, che si sarebbe svolta dal 31 agosto al 4 settembre 1927, fu preceduta dalla disputa dei Campionati nazionali di nuoto, i quali inaugurarono la piscina scoperta del “Littoriale”. Sempre in merito alle discipline natatorie, quando il 13 maggio 1930 Leandro Arpinati divenne anche il presidente della Federazione Italiana Nuoto (FIN) egli riorganizzò totalmente il calendario delle competizioni. La città felsinea ospitò i Campionati italiani assoluti di nuoto per tre anni consecutivi dal 1930 al 1932, patendo in seguito una marginalizzazione coerente con il destino del “ras dei ras”.

Negli anni in cui, invece, fu presidente della FIDAL (1927-1929) e, in generale, dalla comparsa sulla scena politica fino al suo ostracismo Arpinati s’impegnò per rendere Bologna il centro dell’atletica leggera italiana. Lo si può evincere semplicemente concentrandosi sulle fredde cifre: dal 1923 al 1932 la città felsinea ospitò in ben dieci occasioni i Campionati assoluti di atletica leggera sia maschili (sette volte) sia femminili (tre volte), mentre dal 1934 al 1942 soltanto quattro (due volte per ciascun genere). L’incremento fu certamente dovuto alla presenza del nuovo e moderno “Littoriale”, che permetteva un afflusso di spettatori pari a quello dei grandi stadi europei e l’utilizzo di attrezzature all’avanguardia.

Eccezionale fu anche lo sforzo di favorire lo sport giovanile. Per quanto riguarda gli atleti di età più tenera la manifestazione più importante era la “Coppa Bologna”, cui prendevano parte «tutte le 4.e e 5.e classi maschili e femminili», che erano «chiamate a svolgere un programma comprendente evoluzioni, esercizi elementari, corsa, salto in alto ed in lunghezza […] secondo i programmi dell’O.N.B.»[49]. Nel settembre del 1932 «la Commissione» dovette «giudicare quasi 200 classi e circa 3000 alunni»[50], ma già nell’edizione dell’agosto 1933 essa fu impegnata ad «esaminare quasi 5000 alunni» in prove che «si svolg[evano] al Littoriale» e generalmente «dura[va]no 15 giorni»[51]. La seconda kermesse scolastica per importanza era la “Coppa Littoriale”, istituita nel 1928; nel 1933 la rassegna impegnò «più di 1500 scolari»[52].

Dal punto di vista dello spettacolo e della qualità tecnica delle prestazioni, tuttavia, le manifestazioni più attese e seguite erano quelle che radunavano al “Littoriale” gli studenti universitari. La centralità di Bologna nella storia degli atenei mondiali fu onorata dalle scelte del Regime, che concesse alla città petroniana di organizzare «il primo campionato goliardico italiano a squadre», in totale sei sodalizi, tenutosi alla “Mole arpinatiana” il 1° giugno del 1930[53], e, soprattutto, i primi “Littoriali dello Sport”. Avevano diritto a partecipare a questa rassegna i migliori atleti degli “Agonali”, ossia le competizioni che si tenevano all’interno delle singole università. L’edizione d’esordio dei giochi, comprendenti incontri di atletica leggera, nuoto, scherma, tennis, pugilato e di diverse altre discipline, si svolse dal 1 all’8 maggio 1932 nel più ampio contesto dei festeggiamenti, sviluppati su tutto l’arco dell’anno, per il Decennale della “marcia su Roma”. Per quanto concerne le gare, disputatesi «sui diversi campi sportivi cittadini»[54], ad esse presero parte 22 atenei, per un totale di 2305 studenti.

Oltre all’atletica, altri due sport, per così dire “negletti”, trovarono espressione nel perimetro del “Littoriale”, ossia il tennis e il rugby. Per quanto concerne la prima disciplina, nel 1932, forte dei nuovi campi da tennis del “Littoriale”, la città felsinea ospitò nuovamente – la prima volta era stata nel 1927, ma nel centro sportivo del “Ravone”[55] – i campionati nazionali maschile e femminile dal 10 al 18 ottobre. Passando, invece, alla “palla ovale”, fu proprio Arpinati il protagonista della sua genesi nella città petroniana, raccontatoci da un articolo apparso su «Il Comune di Bologna» nel gennaio del 1933, dove si spiega che «nel 1927 alcuni appassionati goliardi milanesi decisero di costituire una squadra», il cui «primo incontro si svolse a Bologna il 1° novembre 1927 sul terreno del Velodromo, contro una rappresentativa della Francia del Sud» che si impose «per 27 a 18»[56]. Affascinato da questo match e convinto del potenziale di questo sport, il 26 aprile 1928 «l’on. Arpinati decise la costituzione della Sezione Rugby in seno al grande organismo cittadino, la Bologna Sportiva»[57]. Il club felsineo, difatti, fu il primo in assoluto ad iscriversi alla neonata Federazione Italiana Rugby (FIR); un fatto, questo, che certifica lo spirito non solo innovatore, ma anche precursore che animava lo sport bolognese e il suo demiurgo.

Mens sana in corpore sano: l’Istituto di Medicina Sportiva del “Littoriale”

Il “Littoriale”, come volle il suo creatore Leandro Arpinati, aveva declinazioni d’utilizzo che trascendevano il mero agonismo. Infatti, i «grandiosi saloni dell’anello coperto che cinge la meravigliosa gradinata dell’arena dedicata alle agoni sportive»[58] venivano utilizzati, oltre che come palestre, per ospitare annualmente la Fiera del “Littoriale” e, soprattutto, l’Istituto di Medicina Sportiva. La creazione di quest’ultimo, seguito nel 1930 dalla fondazione della Federazione Italiana dei Medici Sportivi (FIMS), rientrava in quella serie di iniziative destinate dal Regime a «dare dignità scientifica allo sport, di farne non solo un’attività dai connotati ludici, ma anche una materia da studiare e da controllare» in modo da «fugare ogni dubbio» rispetto ad esso, «per tradizione» osteggiato in Italia, e da «collocarsi in un contesto internazionale»[59]. Nato, come emerge dalle pagine de «Il Comune di Bologna», nell’autunno 1929 «colla convocazione del primo Congresso dei Medici sportivi» e inserito nel più vasto ideale fascista di “bonifica” fisica dell’individuo e della generazione dell’italiano nuovo, l’Istituto fu costituito per volere di «S. E. Arpinati», il quale «concepì […] di corredare il nuovo Stadio di un centro medico […] a titolo di controllo della efficienza atletica o delle ricorrenti deflessioni di forma, e soprattutto a tutela dei limiti di dispendio di energie consentite ad ogni sportivo dalle sue condizioni funzionali e organiche»[60].

L’idea di Arpinati e del Professor Pini, il cui metodo scaturiva dalla scuola costituzionalista[61], era quella di evitare «la scomparsa dai campi sportivi, pur troppo anche dalla vita, di baldi atleti per sorpassato sfruttamento delle loro energie» attraverso «un mezzo di misura e di accertamento e un controllo periodico»[62]. Queste visite d’accertamento furono rese obbligatorie da subito per «gli alunni delle Scuole comunali professionali» e «delle Scuole elementari» che fruivano delle strutture del “Littoriale”, oltre che per «gli atleti delle Società sportive cittadine, in primo luogo quelli della “Bologna Sportiva”»[63]. In particolare, «l’esame dei fanciulli e delle fanciulle» veniva eseguito «sulla base dell’esame antropometrico» insieme a «rilievi biometrici e qualche prova elementare di coltura fisica», affinché con l’elaborazione di questi dati si potesse fornire «la definizione del normotipo regionale maschile e femminile dagli 11 ai 18 anni» e riconoscere le «variazioni e le oscillazioni» individuali per effettuare correzioni da apportare nell’«avviamento alla coltura fisica» in vista delle «le successive selezioni degli sportivi, fino alla scelta dei campioni»[64]. Su «sportivi maturi» e «atleti completi», invece, venivano effettuati dai medici «alcuni rilievi antropometrici», riferiti soprattutto «alle proporzioni fra arti e tronco», e quelli che segnalavano «il grado e l’energia dei diversi organi e tessuti […] in giuoco nell’esercizio sportivo»[65].

L’Istituto era suddiviso in cinque diverse sale. Le prime due - spiegava la rivista muncipale - erano utilizzate per i «rilievi antropometrici e biometrici fondamentali, una destinata ai maschi, l’altra alle femmine», mentre la terza ospitava «gli spirometri e i dinamometri» e un reparto adibito alle «ricerche chimiche e microscopiche»[66] per esami di vario genere. Il quarto spazio conteneva invece «apparecchi speciali concepiti e costruiti allo scopo di completare ricerche dinamometriche e di riprodurre in ambiente chiuso alcune pratiche sportive»; vi avevano sede anche «apparecchi di cinesiometria» che, insieme a quelli dinamometrici, permettevano di «indagare l’ergometria» di tutte le regioni muscolari che concorrevano «allo sviluppo, all’incremento e al rendimento atletico»[67]. Oltre ad un «tapis roulant» che poteva apprezzare il tracciato cardiorespiratorio di un corridore e che, «immoto», era in grado di rilevare le prestazioni di «uno schermitore» o «un sollevatore di pesi», esisteva anche «una poltrona metallica con un sedile compressibile e in rapporto con un manometro per indicare la pressione del bacino e del tronco e le sue variazioni durante la contrazione dei glutei»[68]. Quest’attrezzatura all’avanguardia era completata da un ambiente contenente «un completo e moderno strumentario Roentgen per radioterapia, radiografia e teleradiografia», mentre alla «residenza della Direzione dell’Istituto»[69] era riservata ad un’ultima sala. L’attività dell’Istituto era intesa «a contribuire al più ampio sviluppo della Medicina sportiva italiana e in particolare a corrispondere […] agl’intenti educativi, sanitari, sociali […] saldi e nobili nella mente del Gerarca Fondatore»[70], vale a dire Leandro Arpinati. Per raggiungere questo fine il personale era «rappresentato da un Direttore e da due Assistenti di diverso sesso rispettivamente assegnati ai maschi e alle femmine, per un senso di delicato riguardo verso le esaminande e le rispettive famiglie»[71].

Con l’Istituto di Medicina Sportiva, al contempo all’avanguardia e figlio del proprio tempo, la “Mole arpinatiana” completava un’offerta di occasioni diversificata e unica nel panorama nazionale. Come dimostra anche l’ampio spazio ad esso dedicato nel corso degli anni da «Il Comune di Bologna», lo stadio petroniano rappresentava per Bologna il fulcro materiale e ideologico dello sport cittadino. Almeno fino alla destituzione di Arpinati le fasi della sua ideazione, edificazione e affermazione furono seguite e commentate con meticolosità, salvo poi cedere il passo ad una progressiva contrazione dell’interesse podestarile per l’aggressiva propaganda sportiva e ad una volontà di ridimensionamento dell’operato del “ras dei ras”, la cui “Mole” evocava un’antica grandezza – e grandeur - personale poco gradita al Regime.

L’altro “Littoriale”: l’Ippodromo dell’Arcoveggio

Oltre al campo polisportivo del “Littoriale”, l’altra grande opera architettonica arpinatiana eretta a Bologna fu il nuovo Ippodromo dell’Arcoveggio, inaugurato il 5 giugno 1932. Realizzato «in brevissimo tempo», il centro ippico ospitava una pista per le corse, lunga «metri 806,64» e di «una larghezza costante di metri 25», era separata da «un bordo erboso di due metri» dalla parallela pista di allenamento predisposta concentricamente al suo interno, mentre «un lavoro architettonico […] ammirabile» era costituito dalla tribuna «in cemento armato, lunga 86 metri», costruita «in modo da offrire agli spettatori la più perfetta visibilità»[72]. La gradinata coperta era «capace di 2500 spettatori seduti», mentre al «palco reale […] situato in testa alla tribuna» si accedeva «per un bellissimo salone elicoidale in cemento armato», al termine della quale si trovavano un’«elegante saletta» e «il palco»[73] vero e proprio. Completavano l’Ippodromo sul lato ovest «le scuderie, che si compon[evano] di ben sei fabbricati» con «152 boxes aereatissimi, divisi in vari reparti, ognuno dei quali [aveva] a disposizione un locale ad uno scuderia ed un fienile»[74]. La vera innovazione dell’Ippodromo, tuttavia, era «l’impianto dell’illuminazione elettrica» analogo a quello del “Littoriale” e ideato dagli stessi progettisti, che secondo la rivista municipale faceva gareggiare l’Arcoveggio «coi migliori stadi del mondo»[75]. Nel 1932 l’ippodromo iniziò quindi la sua stagione di corse, che si svolgeva generalmente dall’inizio della primavera fino al mese di luglio; così l’ippica, in sottile equilibrio tra l’essere uno sport, un’occasione mondana e una profittevole industria, trovò in Bologna e nel suo Arcoveggio un centro significativo, già nel 1935 il terzo in Italia per importanza «dopo Milano e Roma» per merito anche di «audaci stanziamenti»[76] in favore dei vincitori dei Gran Premi.

Un bilancio coevo

Oltre ai più rappresentativi luoghi e occasioni sportivi, sotto l’egida arpinatiana Bologna brulicò di circostanze agonistiche o di semplice loisir. Dal pugilato al ciclismo, passando per il gioco del pallone col bracciale, fino agli sport motoristici – nel 1927 si corse addirittura il primo ed unico “Gran Premio Bologna” per automobili[77] – il capoluogo emiliano volle distinguersi come nucleo polisportivo della Penisola; basti pensare al tentativo del podestà Angelo Manaresi (1933-1935), dal 1928 presidente della Associazione Nazionale Alpini (ANA), di incoraggiare la pratica degli sport invernali in una città che può semmai definirsi parzialmente collinare. È utile, dunque, tracciare un resoconto dello sport a Bologna negli anni dell’era fascista, un compito piuttosto arduo vista l’impossibilità di raffrontarsi con una voce dell’epoca scevra dalle forzature propagandistiche e dal condizionamento ideologico. Tuttavia, ci viene in soccorso un articolo pubblicato da «Il Comune di Bologna» nel numero di maggio-giugno 1939, dove, al netto degli immancabili spigoli iperbolici, a tratti si può leggere una linea di sincerità giornalistica utile a tastare il vero sentimento dell’epoca.

Si leggeva che «Bologna, per la sua posizione particolarmente felice, per lo sviluppo delle società cittadine, per l’alto entusiasmo che anima[va] Gerarchi e dirigenti […] rappresenta[va] un centro di primaria importanza», che aveva però l’obbligo di «migliorare, perfezionare gli impianti, riattivare il fecondo movimento cittadino» in modo da «essere una nuova attrattiva, irresistibile e nostalgica» e sfruttare «lo sport inteso come movimento turistico»[78]. Al contempo, si specificava che lo sport era «bisogno del popolo» e «necessario completamento della nuova educazione che il Regime elargi[va] alla massa»; pertanto, ogni attività doveva «praticarsi nel modo più degno e regolare, esibendo una organizzazione scrupolosa» in linea «colle tradizioni della “Dotta”»[79]. Bologna aveva nel “Littoriale” il suo «monumento sportivo», il quale doveva «essere degna sede di sempre più sensazionali avvenimenti» sia nel calcio con nuovi «incontri di cartello» sia «nell’atletica leggera», dove «il sodalizio virtussino sta[va] bruciando le tappe verso il primato assoluto»: l’obiettivo era una crescita atta a determinare «una vasta corrente di simpatia e di antagonismo che provoca[sse] incontri e riunioni col risultato di permettere a sempre nuovi e più numerosi visitatori di apprezzare e conoscere la città»[80].

Al contrario di questi due sport, il nuoto era in flessione e le sue piscine, aventi entrambe «i requisiti per lo svolgersi delle più complesse manifestazioni natatorie», avrebbero dovuto «essere adibite più spesso a riunioni», giacché «questa scarsità di dispute si [era] forse ripercossa sul vivaio locale»[81]. Anche «le tradizioni ciclistiche di Bologna, che fu culla della attività agonistica nazionale» avevano subito «una sensibile scossa» e, malgrado la città fosse stata nel 1939 «sede di tappa del Giro d’Italia», il Velodromo Bolognese ospitava riunioni «solo a lunghi intervalli»[82] l’una dall’altra. D’altro canto, il venturo “Giro dell’Emilia” avrebbe garantito che alla partenza e all’arrivo i Giardini Margherita «rigurgita[ssero]» della folla delle «passate edizioni», mentre l’Arcoveggio poteva «essere definito il più perfetto e regolare ippodromo d’Italia»[83]. Infine, «pugilato e lotta greco-romana, sports in auge», avrebbero trovato «di che sempre più propagarsi per merito della Virtus» grazie a «manifestazioni nazionali ed internazionali» e la ventura creazione «del lago di Casalecchio» sarebbe servita «ad iniziare l’attività del canottaggio e dello sport a vela»[84]. Questo specchio d’acqua, affermava la rivista, avrebbe consentito alla città petroniana «di pretendere non più il solo appellativo di “Bologna la Dotta” ma anche quello di “Bologna Sportiva”»[85].

Si chiudeva, così, un cerchio scaturito da questo stesso appellativo e avente punto d’origine nel “Littoriale” e nel suo ideatore Leandro Arpinati, affascinato dall’idea di rendere Bologna un centro sportivo avanguardistico dotato di strutture ai primi posti in Italia e in Europa, le quali resero il gerarca un eroe eponimo celebrato in ogni occasione e poi ripudiato e condannato all’oblio dai suoi stessi sostenitori. Pertanto, nonostante il ras di Civitella fosse stato privato della propria dignità politica, lo sport nella sua concezione fascista aveva continuato la sua travolgente corsa, interrompendosi soltanto al tragico volgere di un’epoca.

Conclusione

Analizzate le dinamiche dello sport locale felsineo e intrecciatele con quelle messe in atto a livello nazionale, emerge che Bologna rappresentò più di ogni altra città italiana e, dunque, anche della mussoliniana Roma, quello spirito giovanilista e prepotentemente arrembante del fascismo militante. È a Leandro Arpinati in particolare che si devono le più imponenti realizzazioni e i progetti maggiormente innovativi, i quali insieme soddisfacevano l’intera rosa di necessità prescritte dal fascismo sportivo.

Se un’arena monumentale come il “Littoriale”, con il Bologna FC come suo principale ambasciatore, rispondeva alle istanze spettacolarizzanti propugnate dal Regime, il costante coinvolgimento delle scuole e dei gruppi rionali nell’educazione fisica combaciava con quelle massificanti, mentre la realizzazione dell’Istituto di Medicina Sportiva appagava il bisogno di fornire allo sport una legittimazione medica secondo le dottrine igieniste. È innegabile come questo allineamento sia stato completo e particolarmente vivace negli anni compresi tra il 1926 e il 1933, ossia quelli in cui Arpinati, più o meno direttamente, resse le sorti del capoluogo emiliano, portandovi manifestazioni di respiro internazionale e potenziando il tessuto sportivo professionistico e dilettantistico petroniano. Dopo il maggio del 1933, infatti, Bologna fu parzialmente intesa – quantomeno nelle ramificazioni della memoria - come un’ideale appendice del “ras dei ras” e, pertanto, marginalizzata sebbene munita di un ordito sportivo tecnico e infrastrutturale senza eguali in Italia.

Successivamente, inoltre, le amministrazioni comunali sotto le Due Torri dimostrarono un limitato interesse per lo sport se confrontato a quello arpinatiano: segno dei tempi e di un fascismo mutato, consolidato in un consenso ottenuto anche con una parossistica promozione sportiva e dal 1935 in poi interessato a questioni di altra natura. L’affermazione dell’identità nazionale, invero, non doveva più compiersi attraverso il recupero di discipline “italianissime” quali il gioco del pallone col bracciale, bensì con le armi.

In conclusione, la retorica ideologica del Regime ebbe vari interpreti, anche se niente più dello sport riuscì a capillarizzare la propria voce ad ogni livello. La Bologna arpinatiana in questo senso fu una cassa di risonanza di prim’ordine, resa ancora più echeggiante da attenzioni regali e politiche solitamente riservate ad una capitale. Ed in parte lo fu: una capitale sportiva, fondata ad immagine del proprio fondatore e cresciuta sotto e oltre il suo patrocinio.



[1] La sezione è consultabile all’indirizzo [http://badigit.comune.bologna.it/codibo/ricerca_crono.htm]. Oltre che di potere sfogliare le annate, il progetto, realizzato grazie al contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Bologna, permette di consultare gli indici e percorrere itinerari tematici legati alle vicende cittadine.

[2] B. Dalla Casa, Leandro Arpinati. Un fascista anomalo, Bologna, il Mulino, 2013, pp. 17-18. Sulla figura di Arpinati altri testi fondamentali sono A. Iraci, Arpinati, l’oppositore di Mussolini, Roma, Bulzoni, 1970; V. Cattani, Rappresaglia: vita e morte di Leandro Arpinati e Torquato Nanni, gli amici-nemici di Benito Mussolini, Venezia, Marsilio, 1997; M. Grimaldi, Leandro Arpinati: un anarchico alla corte di Mussolini, Roma, Società Stampa Sportiva, 1999.

[3] Ivi, p. 51.

[4] Ivi, p. 90.

[5] Ivi, pp. 97-98.

[6] Ivi, p. 117.

[7] Ivi, p. 121.

[8] Si tratta rispettivamente della Federazione Italiana di Atletica Leggera (FIDAL), della Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC), della Federazione Italiana Nuoto (FIN) e del Comitato Olimpico Nazionale (CONI).

[9] G. Bonuzzi, Il Littoriale di Bologna: le grandi realizzazioni fasciste, a Leandro Arpinati, Bologna, Edizioni di Arte fascista, 1927, p. 3.

[10] Cfr. Dalla Casa, Op. cit., p. 132.

[11] Cfr. Ibidem.

[12] Ogni gruppo rionale era retto da un fiduciario ed intitolato ad un martire fascista, in cui erano confluite le squadre d’azione che il ras contro il volere di Mussolini non aveva voluto sciogliere. Arpinati ne aveva scorto, difatti, il potenziale politico, in quanto presidi in zone “calde” della città (i primi gruppi esistevano già nel 1921 nei quartieri operai a maggioranza socialista e comunista quali Santa Viola e San Ruffillo), e sociale, poiché essi dimostrarono di essere preziosi strumenti di integrazione per la cittadinanza in grado di offrire un apporto assistenziale, culturale e sportivo ai cittadini. Era la continuazione della tradizione socialista delle strutture ricreative e mutualistiche, rinnovata sotto un diverso vessillo e subordinata in ogni necessità alla Casa del fascio.

[13] Cfr. M. Avanzolini, Sport, mattoni e cemento: Bologna e il suo Stadio, in «L’Archiginnasio», Bologna, 2009, pp. 605-659: 612-613.

[14] Cfr. S. A., Cronaca sportiva, in «Il Comune di Bologna», a. XIII, n. 2, febbraio 1927, p. 133.

[15] Cfr. la sezione dedicata ai gruppi rionali, con testi a cura di Maurizio Avanzolini, nel contesto della presentazione della mostra online “All’ombra del Littorio. Vita cittadina e propaganda fascista nella rivista mensile del Comune di Bologna dal 1924 al 1939”, consultabile all’indirizzo [http://badigit.comune.bologna.it/mostre/codibo/p1.htm].

[16] S. A., Cronaca sportiva, in «Il Comune di Bologna», a. XIII, n. 2, febbraio 1927, p. 133.

[17] S. Martin, Football and Fascism. The National Game under Mussolini, Oxford, Berg, 2004, p. 118. Trad. mia.

[18] A. M. Perbellini, Arpinati in «Calcio illustrato», Roma, a. I, n. 1, 2 dicembre 1931, p. 3 cit. da Ibid.

[19] S. A., Cronaca sportiva, in «Il Comune di Bologna», a. XII, n. 8, agosto 1926, p. 608.

[20] S. A., Cronaca sportiva, Ivi, a. XIII, n. 2, febbraio 1927, p. 133.

[21] A. M. Perbellini, La Casa degli Sports a Bologna, Ivi, a. XIII, n. 5, maggio 1927, pp. 459-460.

[22] Ivi, p. 560.

[23] Cfr. Ibid.

[24] I. Luminasi, Mussolini e lo sport. Bologna capitale dello sport – Arpinati… papa dello sport, Ivi, a. XIV, n. 3, marzo 1928, p. 61.

[25] Ibid..

[26] Ibid.

[27] Martin, Op. cit., p. 109. Trad. mia.

[28] S. A., Il primo podestà di Bologna, in «Il Comune di Bologna», a. XII, n. 12, dicembre 1926, pp. 916-919: 916.

[29] «Il Resto del Carlino» era il quotidiano più letto in città, di cui nel 1928 Arpinati divenne presidente dopo le dimissioni di Arnaldo Mussolini, mentre «L’Assalto» era l’organo di stampa ufficiale del fascio bolognese.

[30] Cfr. N. S. Onofri, La storia dello Stadio, di un cavallo di bronzo e del suo cavaliere perduto in Dal Littoriale allo stadio. Storia per immagini dell’impianto sportivo bolognese, a cura di N. S. Onofri, V. Ottani, Bologna, Consorzio Cooperative Costruzioni, 1990, pp. 13-24: 13-14.

[31] L. Arpinati, Il Littoriale in «Lo sport fascista», Milano, a. I, n. 1, giugno 1928, p. 13.

[32] Cfr. Onofri, Op. cit., p. 15.

[33] S. Sani, Il campo polisportivo del Fascio di Bologna, in «Il Comune di Bologna», a. XI, n. 7, luglio 1925, pp. 439-443: 439-443.

[34] Ivi, p. 443.

[35] Arpinati, invitato da Mussolini a trovare una denominazione che avesse un significato politico e che fosse ispirata dalla romanità dell’opera, si era rivolto al Prof. Baldoni, latinista bolognese. Le sue meditazioni iniziali portarono alla proposta del nome di “Littoriale”, con chiaro riferimento al fascio littorio. Il gerarca romagnolo, però, aveva ricevuto dallo stesso Baldoni un altro suggerimento, ben più erudito e concettoso, ossia “Eugenéo”, “Il luogo della buona stirpe, della nobile razza”. A tal proposito si veda la lettera del Prof. Baldoni a Leandro Arpinati, datata 15 febbraio 1926, trascritta in G. Quercioli, Bologna e il suo stadio. Ottant’anni dal Littoriale al Dall’Ara, Bologna, Pendragon, 2006, pp. 13-14.

[36] Sani, Op. cit., p. 443.

[37] S. A., Il Duce a Bologna, in «Il Comune di Bologna», a. XII, n. 10, ottobre 1926, pp. 731-739: 735-736.

[38] Questa situazione mise in grave imbarazzo il ras bolognese, che, nonostante i dubbi subito circolati in merito alla possibilità di un tragico errore di identificazione dello sparatore, fu in seguito accusato dai suoi delatori di essere parte di un complotto per uccidere il Duce. Dalla Casa, Op. cit., pp. 160-162.

[39] S. A, Il Duce a Bologna, cit., p. 739.

[40] A. Ghirelli, Storia del calcio in Italia, Torino, Einaudi, 1967, p. 98.

[41] I. Luminasi, Battaglie sportive, in «Il Comune di Bologna», a. XVII, n. 6, giugno 1930, pp. 3-6: 3.

[42] B. Roghi, La montagna di tagliatelle in Il mezzo secolo del Bologna: 1909-1959, Bologna, Poligrafici Il Resto del Carlino, 1959, pp. 29-30. Nel corso della terza gara, giocatasi a Milano in quanto spareggio, sul risultato di 2 a 0 per il Genoa un tiro del bolognese Muzzioli, finito in calcio d’angolo, fu convalidato come rete dopo l’ingresso in campo di un gruppo di fascisti felsinei, osservati da un connivente Arpinati in tribuna. Il risultato finale fu un 2 a 2 che costrinse le squadre a giocare altri due match, prima a Torino e l’ultimo nuovo sul suolo milanese, con l’esito di 2 a 0 per gli emiliani.

[43] In occasione della penultima sfida della fase interregionale, giocatasi a Torino, occorsero vivaci scontri, caratterizzati dall’utilizzo senza conseguenze di armi da fioco, tra le opposte tifoserie di Bologna e Genoa. Gli incidenti suggerirono la denominazione “Scudetto delle pistole”.

[44] La “Coppa Europa” allineava le due prime classificate dei campionati ungherese, austriaco, cecoslovacco e, appunto, italiano.

[45] S. A., Vita sportiva, in «Il Comune di Bologna», a. XIX, n. 8, agosto 1932, p. 75.

[46] Cfr. La lunga linea rossoblu. Storia di cinquant’anni, a cura di R. Lemmi Gigli, G. C. Turrini in Il mezzo secolo del Bologna, Op. cit., pp. 103-104. La società calcistica fu poi guidata da Renato Dall’Ara, protagonista del ciclo più vincente della storia dei “Veltri”.

[47] Per un approfondimento si consiglia il capitolo La fine politica: dimissioni, espulsione e arresto in Dalla Casa, Op. cit., pp. 241-288.

[48] Cfr. Ivi, p. 289.

[49] S. A., Vita sportiva, in «Il Comune di Bologna», a. XIX, n. 9, settembre 1932, p. 80.

[50] Ibid.

[51] S. A., La ginnastica nelle Elementari, Ivi, a. XX, n. 8, agosto 1933, pp. 88-89: 89.

[52] Ibid.

[53] S. A., Vita sportiva, Ivi, a. XVII, n. 6, giugno 1930, pp. 89-90: 89.

[54] S. A., I ludi littoriali dell’anno X, Ivi, a. XIX, n. 5, maggio 1932, pp. 15-18: 15.

[55] Il campo polisportivo del “Ravone” era il secondo per importanza sul territorio cittadino; se ne serviva principalmente la SG Virtus per allenamenti e gare. Dotato di una pelouse da gioco, una pista d’atletica e alcuni campi da tennis, esso ospitava diverse rassegne di atletica leggera per professionisti e scolari.

[56] L. L. Tedeschi, Il gioco del Rugby, in «Il Comune di Bologna», a. XX, n. 1, gennaio 1933, pp. 104-105: 105.

[57] Ibid.

[58] S. A., La VII Fiera Esposizione al Littoriale, Ivi, a. XX, n. 1, gennaio 1933, pp. 93-94: 93.

[59] A. Teja, La ricerca medico-sportiva al servizio del regime in Sport e fascismo, a cura di M. Canella, S. Giuntini, FrancoAngeli, Milano, 2009, pp. 133-151, in particolare 136-138.

[60] S. A., Istituto di medicina sportiva in «Il Comune di Bologna», a. XVIII, n. 7, luglio 1931, pp. 47-50.

[61] Teja, Op. cit., p. 136.

[62] S. A., Istituto di medicina sportiva, cit., p. 47.

[63] Ibid.

[64] Ivi, pp. 47-48.

[65] Ivi, p. 48.

[66] Ibid.

[67] Ivi, p. 49.

[68] Ibid.

[69] Ibid.

[70] Ivi, p. 50.

[71] Ivi, p. 49.

[72] S. A., Il nuovo ippodromo in «Il Comune di Bologna», a. XIX, n. 6, giugno 1932, pp. 53-57: 56.

[73] Ibid.

[74] Ibid.

[75] Ivi, p. 57.

[76] P. Castelvetro, Dopo che l’Arcoveggio ha chiuso i battenti, Ivi, a. XXII, n. 7, luglio 1935, pp. 79-81: 81.

[77] Il tracciato cittadino della corsa, comprendente parte dell’attuale Viale Gozzadini, rientrando all’interno delle mura per poi riuscirne costeggiando Porta Castiglione, vide la partecipazione di campioni quali Ernesto Maserati ed Emilio Materassi.

[78] G. Rossi, Fervore sportivo nella città della Decima Legio in «Il Comune di Bologna», a. XXVI, n. 5-6, maggio-giugno 1939, pp. 100-103.

[79] Ivi, p. 101.

[80] Ibid.

[81] Ivi, p. 102.

[82] Ibid.

[83] Ibid.

[84] Ivi, p. 103.

[85] Ibid.