Andrea Bacci, Lo sport nella propaganda fascista

Bradipolibri, Torino, 2006, 272 pp.

Felice Fabrizio

Società Italiana Storia dello Sport

L’ondata di polemiche seguita nel 1974 all’uscita de “Gli anni del consenso”, terza parte della monumentale biografia mussoliniana redatta da Renzo De Felice, ha il potere di suscitare un rinnovato interesse per lo studio dell’esperienza fascista in ambienti rimasti a lungo impantanati in consolidate e rassicuranti linee interpretative.

Nella nuova stagione di ricerca l’interesse si concentra sugli apparati di controllo dei diversi segmenti del corpo sociale, partito ed organizzazioni di massa, scuola ed esercito, espressioni culturali e mezzi di comunicazione di massa, senza trascurare aspetti specifici quali la fabbrica del mito del duce, la politica razziale, la concezione della donna. Gran parte dei temi presi in esame denotano legami strettissimi con il complesso delle attività motorie, che tuttavia non hanno meritato nel lavoro storiografico un rilievo adeguato. Per rendersene conto è sufficiente scorrere l’appendice bibliografica del saggio di Bacci, in cui gli unici testi di carattere monografico si riducono a Lo sport di Lando Ferretti (1949), al mio Sport e fascismo (1976), ad un volume collettaneo di smaccata ispirazione neofascista, Atleti in camicia nera, curato da Renato Bianda, Gianni Rossi e Adolfo Urso (1983), ad un intervento tanto prezioso quanto di problematico reperimento, Economia, politica e sport in Italia (1925-1935), scritto da Francesco Maria Varrasi.

La pubblicazione nel 2002 per i tipi della giovanissima e dinamica casa editrice torinese Bradipolibri va considerata quindi una tappa significativa di un percorso di indagine che anche in anni più recenti non è sfociato in contributi sostanziosi.

Andrea Bacci, nato a Cetona nel 1970 e prematuramente scomparso nel 2021, si è dedicato alla ricostruzione dei risvolti umani delle grandi vicende sportive, addentrandosi nei territori del calcio e del pugilato con sporadiche incursioni nel mondo del ciclismo e della lotta. Al rapporto tra il regime e lo sport ritornerà nel 2013 con Mussolini il primo sportivo d’Italia. Il Duce, lo sport, il fascismo, i grandi campioni degli anni Trenta (Bradipolibri).

Nelle 233 pagine dell’opera, che si avvale di una prefazione raffazzonata con la mano sinistra da Antonio Ghirelli, Bacci, sulla scorta di un ampio apparato di fonti bibliografiche e giornalistiche, delinea un quadro esaustivo del sistema sportivo edificato dal fascismo, passando in rassegna le tappe di insediamento, le componenti strutturali, il supporto ideologico, dedicando ampio spazio alla funzione di primissimo piano assolta dalla stampa. Al centro della scena si staglia, dalla cintola in su, la figura di Lando Ferretti, tratteggiata a tutto tondo sulla scia di una corrente revisionista tendente alla rivalutazione dei principali ras del regime, Italo Balbo, Renato Ricci, Aldo Finzi, Dino Grandi, Giuseppe Bottai, Augusto Turati, Leandro Arpinati, Achille Starace, nello sforzo di accreditare l’immagine di un “fascismo dal volto umano” da contrapporre ai risvolti impresentabili.

In quest’ottica, non senza qualche sbandata di natura agiografica, Ferretti si pone come il naturale antagonista di Starace, che Enrico Landoni, in Gli atleti del Duce. La politica sportiva del fascismo 1919-1939, considera in controtendenza un «efficiente ed acuto sperimentatore ed innovatore, responsabile in massima parte dello straordinario sviluppo tecnico, organizzativo, diplomatico conosciuto dallo sport italiano all’ombra del Littorio».

L’esperienza umana, professionale, culturale e politica di Lando Ferretti costituisce il filo conduttore del saggio, sorretto da un’impalcatura convincente che rende perdonabili le forzature e le non poche reticenze, a partire dalla trattazione distratta riservata alle spietate e subdole campagne di epurazione di tutti gli elementi non allineati condotta nella redazione del «Corriere della Sera» e alla successiva opera di censura esercitata sulla stampa.

La vita del maggiore ideologico dello sport fascista viene ripercorsa in tutti i passaggi più significativi, i precoci esordi giornalistici, gli studi nelle aule della severissima Normale di Pisa, l’immediata adesione al movimento fascista, concretizzata nella partecipazione alla marcia su Roma, nella sottoscrizione del Manifesto degli Intellettuali Fascisti, nella cooptazione nel Gran Consiglio, la direzione dello strategico Ufficio Stampa del Capo del Governo e in seguito dell’Accademia Fascista di Educazione Fisica, l’esperienza maturata nella Repubblica Sociale Italiana, la fiera rivendicazione di avere salvato e potenziato lo sport nazionale formulata dinnanzi alla Commissione di epurazione, al coerente schieramento, che lo distingue dallo stuolo dei “voltagabbana”, nei ranghi del Movimento Sociale Italiano come parlamentare, infaticabile propagandista, dirigente dell’ente di promozione Fiamma Tricolore.

Nell’opinione di Bacci il colto ed accorto Ferretti ed il caporalesco e tonitruante Starace sono destinati ad essere separati da un abisso incolmabile che dai tratti caratteriali si estende alle concezioni politiche e alle scelte operative, al punto da trasformare il loro rapporto in un interminabile match il cui esito è affidato alle incessanti oscillazioni dei rapporti di forza esistenti tra i più stretti collaboratori di Mussolini.

La prevalenza iniziale di Ferretti, che lo conduce alla presidenza del CONI, conservata dal 1925 al 1929, e alla pubblicazione nel 1928 de Il Libro dello Sport, vera e propria summa della concezione fascista delle attività motorie, e della raffinata rivista Lo Sport Fascista, ambizioso laboratorio di propaganda ideologica . In quella che l’autore giudica una fase storica particolarmente feconda il gerarca toscano sceglie la via della mediazione, limitandosi ad adattare alle rinnovate esigenze le strutture organizzative prefasciste e, ricollegandosi alle tradizioni classiche e rinascimentali, ad abbozzare un disegno ad ampio raggio e in profondità di educazione integrale finalizzata alla formazione dell’uomo nuovo e della nazione sportiva. La seconda ripresa è contrassegnata dall’irresistibile ascesa di Achille Starace, che, bruciando le tappe, aggiunge alle funzioni di segretario del Partito Nazionale Fascista ricoperte dal 1931 il controllo pressoché totale delle organizzazioni di massa. Il bottino si completa con la presidenza del CONI, in cui Starace, subentrato nel 1933 ad Arpinati, che, in modo analogo a Turati, non si era discostato dalle linee tracciate da Ferretti. Non pago del trionfo lo squadrista pugliese si fa artefice, unitamente a Galeazzo Ciano, di una squallida congiura di palazzo che ha l’effetto di privare Ferretti della tessera del partito, allontanandolo dalle stanze dei bottoni. L’era staraciana coincide agli occhi di Bacci con lo scadimento culturale del regime, con la crisi del suo personale politico, con il tradimento degli ideali originari della rivoluzione fascista. Sul terreno delle attività fisico–sportive queste tendenze si traducono in una successione di degenerazioni (conformismo, spirito da caserma, formalismo, esasperazioni in senso selettivo, agonistico, spettacolare, professionistico in cui il campione – divo non è più concepito come veicolo promozionale, ma come finalità esclusiva), culminate nelle «stonature gettate come un’ombra sul bel quadro», riferimento alle prove atletiche imposte ai gerarchi contenuto in Lo Sport in cui Ferretti, a mente fredda, trova modo di togliersi cautamente qualche sassolino dalla scarpa. Sugli esiti conclusivi Bacci è allineato con Ferretti: la divaricazione sempre più accentuata tra l’attività di base su base volontaria e le manifestazioni di alto livello blocca ogni istanza di formazione di una coscienza sportiva attiva e collettiva. Nelle conclusioni Bacci deplora che Lando Ferretti rappresenti una figura storica «forse un po’ troppo in fretta dimenticata».

Lo stesso rischia di accadere a Lo sport nella propaganda fascista, che sconta in primo luogo l’estraneità ai blindatissimi circuiti accademici. Con tutti i limiti metodologici tipici di uno storico per diletto (le citazioni finiscono con il soverchiare le considerazioni personali) e con tutti quelli di natura concettuale (nel tentativo di beatificare Ferretti sulla realtà fattuale finisce in qualche caso per prevalere sulle tesi precostituite) il libro merita di rientrare nel ristretto novero delle opere di riferimento irrinunciabili per chiunque intenda accostarsi al tema affascinante della politica sportiva del regime.