Felice Fabrizio, Sport e fascismo. La politica sportiva del regime 1924-1936

Rimini-Firenze, Guaraldi, 1976, 187 pp.

Sergio Giuntini

Società Italiana di Storia dello Sport

Credo di non sbagliare sostenendo che se c’è un libro che ha mutato il modo di fare storia dello sport in Italia, anzi l’ha fondata tout court, questo è senza dubbio Sport e fascismo. La politica sportiva del regime 1924-1936 di Felice Fabrizio. Saggio edito nel lontano 1976 da Guaraldi. Giusto su quest’ultimo punto vale soffermarsi. Guaraldi, nel 1970 e 1972, aveva già dato alle stampe due classici europei della critica sportiva sessantottina: Il calcio come ideologia di Gerhard Vinnai e Olimpiadi dello spreco e dell’inganno di Ulrike Prokop. Il medesimo Sport e fascismo va dunque inscritto nella stagione del lungo ’68 italiano: nel processo in corso di radicale demistificazione di molti aspetti della società borghese-capitalistica (dallo Stato alla scuola alla famiglia ecc.) si poteva/doveva finalmente fare i conti pure con uno dei più interessanti fenomeni, la dimensione sportiva per l’appunto, attraverso cui il regime aveva costruito il proprio consenso. Fenomeno peraltro sin lì mai praticamente studiato. Nessuno, tantomeno la sinistra ufficiale, aveva voluto sporcarsi le mani con un tema considerato tutto sommato marginale. E gli effetti, come si poteva leggere nella quarta di copertina del volume, non erano stati dei più lungimiranti: «Raccogliamo quello che abbiamo seminato. Vent’anni di fascismo ci avevano affidato uno sport bollato con il marchio di creatura del regime; con faciloneria tutta italiana abbiamo creduto di esorcizzare un passato scomodo dimenticandolo». Insomma, persistendo le equazioni sport=destra, sport=fascismo, sport=oppio dei popoli si preferiva non affrontare questi nodi piuttosto che interpretarli. La genesi del saggio risale agli studi universitari condotti dall’autore. Studente di Lettere della Cattolica di Milano, nel 1973 Fabrizio (relatore il professor Gianfranco Bianchi, un ex partigiano cattolico) si laureò con una tesi sull’argomento (Funzione e strumentalizzazione dell’attività ginnico-sportiva dilettantistica e professionale in Italia nei contesti del regime fascista dalle Olimpiadi del 1924 a quelle del 1936). Una dissertazione d’avanguardia, venendo allora rarissimamente assegnati nelle facoltà umanistiche lavori simili. Ma perché Sport e fascismo appare ancora oggi tanto importante e innovativo? Due, le ragioni principali. D’un verso, prima della sua pubblicazione la storia dello sport era appannaggio esclusivo del giornalismo specializzato. Di cronisti sportivi che, con l’eccezione isolata di Antonio Ghirelli e della sua einaudiana Storia del calcio in Italia (1954), alla storia sostituivano la storia romanzata. La narrazione, spesso fantasiosa, d’eventi e uomini. Nessuna nota o bibliografia, una spiccata tendenza agiografica. La seconda ragione è una diretta conseguenza della prima. Fabrizio, andò oltre le “Colonne d’Ercole” d’una tale pseudo-storia e col suo volume introdusse anche in questo specifico gli strumenti di lavoro dello storico: ricerca archivistica, fonti primarie, secondarie e loro confronto, tesi, interpretazioni ecc. Dimostrò che anche la storia dello sport era una cosa seria con cui, per meglio comprendere il ʼ900 e i suoi tre grandi totalitarismi, valeva la pena misurarsi. Il libro indagava con metodo-rigore-equilibrio un vasto arco di questioni: le radici ideologiche dello sport fascista (la Grande Guerra, l’arditismo, il futurismo, lo squadrismo); la presa del potere e il controllo dei vari organi di governo dello sport (CONI, federazioni, società); l’erezione delle grandi strutture di massa (opere Balilla e Dopolavoro); lo sport nelle scuole e nelle università; lo sport-spettacolo e i grandi successi internazionali ai Giochi olimpici e nei mondiali di calcio; i miti dello sport fascista (Balbo, Carnera, Meazza ecc.); il controverso sviluppo dato allo sport femminile; Mussolini “Primo sportivo d’Italia” e la propaganda; le questioni della razza e dell’”uomo nuovo”; la radio e la stampa sportiva. Insomma si poneva come il primo, completo bilancio storiografico sul peso e il significato rivestiti dallo sport nelle politiche del regime. Resta da chiedersi come venne accolto un libro così “rivoluzionario” e per quei tempi spiazzante? Al riguardo vale riproporre alcune delle recensioni che ne accompagnarono l’uscita. Gianni De Felice, sul «Corriere della Sera» (Quando l’Italia vinceva per il “divino eroe”, 14 luglio 1976), accolse con favore l’opera:

Di scampoli e testimonianze di questo assurdo delirio è lardellato dalla prima pagina all’ultima Sport e fascismo (di Felice Fabrizio): un saggio che senza commenti, senza interpretazioni forzate, senza alcuna concessione alla facile e ovvia ironia, ma con la sola forza di una documentazione ineccepibile riesce a darci un’idea concretissima della “filosofia” fascista dello sport: e a convincerci, senza alcuna fatica, che buona parte di quella “filosofia” è purtroppo ancora presente nello spirito, nei metodi, nella struttura stessa dell’organizzazione sportiva italiana.

Un parere analogo espresse sul cattolico «Avvenire» (Quando il fascismo giocava al calcio, 28 ottobre 1976) anche Bernardino Ferrari:

Segnaliamo ai lettori un prezioso volumetto, prima, pregevolissima, opera di un giovane e promettente studioso formatosi all’Università Cattolica alla scuola di Gianfranco Bianchi: Sport e fascismo: la politica sportiva del regime 1924-1936 di Felice Fabrizio. Il Lavoro si raccomanda per più di un motivo, primo fra tutti il gusto, attento e preciso, della ricostruzione, attraverso una ricca informazione, assai intelligentemente sfruttata […] L’interesse della lettura va anche oltre l’argomento specifico. E’ una ricostruzione di costume, di un costume vuoto e retorico, fatta con finezza e con penetrazione notevoli. Contribuisce, in modo non secondario, a raggiungere l’effetto la sottile vena di arguzia che pervade molte pagine dello studio e che ci sembra esserne la nota dominante.

Qualche riserva su «Tuttolibri» (Sport e propaganda durante il fascismo) gli mosse il socialista Antonio Ghirelli, asserendo in specie - a torto - che lo studio non fosse del tutto originale:

Il fatto che questo saggio sia concentrato su un periodo ormai lontano nel tempo, e già ampiamente illustrato per i suoi riflessi sull’organizzazione dello sport e della stampa specializzata, non implica tuttavia che il lavoro di Felice Fabrizio sia inutile. A giustificarlo sta, prima di tutto, la ricchezza della documentazione che è attestata anche dalle succosissime fonti giornalistiche e bibliografiche con cui si chiude il volume. La ricerca, che è venata di un’aspra e intransigente polemica, viene tuttavia condotta con un notevole margine di obiettività.

Decisamente più severo fu il giudizio (Il libro del mese, giugno 1976) di Mario Gulinelli su «Dimensione A», l’organo dell’ARCI-UISP:

In questa ampiezza di panoramica sta il pregio ed il difetto del libro. Nel leggerlo non si sfugge all’impressione che si resti alla superficie, alla descrizione dei fenomeni, senza che di essi se ne riesca a cogliere l’essenza, ed i nessi che essi avevano con tutto il complesso della società italiana del tempo. Rimangono cosi appena accennate le sostanziali ragioni del fallimento della politica sportiva fascista, che va visto non tanto nel regredire dell’élite, ma nella mancata creazione di una pratica sportiva di massa.

Non si è riusciti infine a reperire ciò che di Sport e fascismo scrisse su «il Giornale» Indro Montanelli. Lo stesso pirotecnico e provocatorio titolo della sua recensione, Guerra e il RIM - quest’ultimo un potente lassativo -, lascia però intendere l’interesse e il dibattito suscitati da volume. E a questo proposito, volendo trarre una sintesi della critica coeva, le reazioni alla sua pubblicazione generalmente positive sembrarono riflettere soprattutto i ritardi e le contraddizioni della sinistra - proiettati sul presente - nell’elaborare una propria politica sullo sport. A distanza di molti anni, nella sua seconda giovinezza, Fabrizio ci ha regalato un ulteriore saggio di notevole efficacia: Andare verso il popolo. Fascismo e sport a Milano negli anni Trenta (Aracne, 2018). Ovvero la svolta populista impressa da Mussolini alla politica fascista in quel decennio cruciale, riletta alla luce dell’osservatorio sportivo milanese. E più di recente due altre sue fatiche hanno affrontato, in modo diretto o indiretto, la questione sport e fascismo: Sportivi a noi! Le attività motorie nell’Italia in guerra 1939-1943 (Aracne, 2018) e Battaglie sportive. Politica e attività motorie a Milano dal 1919 al 1927 (Aracne, 2021). Un cantiere sempre aperto, quello del presidente onorario della SISS, che non finisce mai di stupirci e offrirci nuovi spunti di riflessione.