Maria Canella, Sergio Giuntini (a cura di), Sport e fascismo

Milano, FrancoAngeli, 2009, 546 pp.

Enrico Landoni

Università eCampus

Uscito ormai tredici anni or sono per i tipi di FrancoAngeli, questo ponderoso volume curato da Maria Canella e Sergio Giuntini occupa uno spazio di assoluto rilievo sia nella storiografia del fascismo sia nel più ristretto ambito della letteratura scientifica riguardante la storia dello sport. Ciò si deve anzitutto alla sua complessa e articolata struttura: quattro sezioni, dedicate, nell’ordine, all’analisi dei tratti distintivi dello sport fascista, allo studio delle sue diverse rappresentazioni e strumentalizzazioni propagandistiche, alla ricognizione di una realtà locale particolarmente interessante, come quella rappresentata dalla Lombardia, e agli esiti di una tavola rotonda sul tema, per un totale di trenta contributi. Proprio il numero degli studiosi coinvolti, insieme al piano complessivo dell’opera, sarebbe di per sé sufficiente a spiegarne l’indiscutibile valore e ad assicurare soprattutto una menzione speciale al volume, che merita in realtà un ricordo particolare per almeno altre due ragioni, tra loro peraltro indiscutibilmente connesse.

La prima, di ordine più squisitamente qualitativo, attiene alla profondità, al taglio metodologico innovativo e soprattutto alla novità dei saggi proposti, capaci infatti di offrire una chiave di lettura per l’appunto nuova di temi e problemi fino a quel momento o del tutto trascurati oppure inseriti sullo sfondo di un’analisi più ampia e generale dei tratti costitutivi e identitari del fascismo. Il riferimento è in particolare al contributo di Angela Teja sulla nascita della medicina sportiva e sulla sua strumentalizzazione da parte del regime (pp. 133-151), al saggio di Patrizia Ferrara sulla “donna nuova” del fascismo (pp. 209-233) – tema che merita di essere approfondito attraverso gli studi di più ampio spettro sulla politica fascista (R. Isidori Frasca, 1983; V. De Grazia, 1993; P. Dogliani, 2008; M. Addis Saba, 1988); A. Teja, 1995 e E. Landoni, 2016) e agli interventi di Luciano Russi (pp. 99-132) e Salvatore Finocchiaro (pp. 119-132), incentrati rispettivamente sullo sviluppo dello sport universitario e sulle vicende dell’educazione fisica e dello sport scolastico e giovanile durante il fascismo – apripista per studi ulteriori sul tema (E. Fonzo, 2020; D. F. A. Elia, 2017; E. Landoni, 2011). Al contempo, non possono certo essere dimenticate tutte le interessanti ricerche sulle dinamiche evolutive dello sport in Lombardia, con particolare riferimento a quelle relative alle realtà di Milano, Cremona e Bergamo, a firma, nell’ordine, di Sergio Giuntini (pp. 351-367), Maurizio Mondoni (pp. 381-392) e Aurelio Locati (pp. 451-462).

A rendere in qualche modo speciale il volume, insieme al suo intrinseco valore qualitativo suaccennato, concorre poi anche un elemento generazionale, portatore di un pressoché automatico potere di ispirazione. Molti dei contributori, infatti, e non solo quelli già citati, appartengono alla generazione dei cosiddetti pionieri della storia dello sport in Italia e della stessa Società Italiana di Storia dello Sport. Nel volume, alcuni di loro, insieme all’autore del solido saggio introduttivo, Felice Fabrizio (pp. 9-12), hanno sentito il bisogno di interloquire con la storiografia precedente, sottolineandone le carenze, i vuoti o, per meglio dire, i salti temporali.

Nel 2009, d’altro canto, si arrivava a un ricco, complesso e articolato lavoro di ricerca sulla storia dello sport fascista dopo un lungo silenzio, che aveva fatto seguito al libro-lancio sul tema, uscito nel 1976 a firma dello stesso Fabrizio, ai contributi decisamente più aneddotico-divulgativi che scientifici di Giorgio Bocca (1983) e del quartetto Bianda-Leone-Rossi-Urso (1983), alle opere particolarmente interessanti e illuminanti di Victoria De Grazia e Carmen Betti sull’organizzazione del dopolavoro e sull’educazione giovanile, ma non sempre perfettamente centrati sull’analisi delle peculiarità dello sport (V. De Grazia, 1981; C. Betti, 1984), e a un primo fondamentale saggio di sintesi su sport e fascismo, a firma di Patrizia Dogliani (P. Dogliani, 2000).

Di qui, dunque, il valore di svolta e cesura incarnato dal volume che, per il prezioso tramite dei suoi contributori, tornava così ad accendere un faro sull’importanza e sulla necessità di studi accurati e rigorosi di storia dello sport, indugiando sul rilievo anche simbolico per l’intera comunità di studiosi della disciplina racchiuso nell’esperienza del fascismo e accennando evidentemente ancora ai tanti nodi storiografici da sciogliere in sede di analisi e ricostruzione.

Per il piglio insito in questo approccio metodologico, ma anche e soprattutto per la novità e la ricchezza dei suoi contenuti, il volume ha così contribuito ad aprire la strada a nuovi studi di storia dello sport e a incoraggiare una nuova generazione di ricercatori a cimentarsi con lo studio della disciplina, facendo i conti in particolare con uno dei tratti distintivi del fascismo italiano e delle grandi dittature del Novecento, ovvero il rapporto tra sport e politica.