Enrico Landoni, Gli atleti del Duce. La politica sportiva del fascismo 1919-1939

Mimesis, Milano-Udine, 2022, 228 pp.

Pierfrancesco Trocchi

Società Italiana di Storia dello Sport

Enrico Landoni, professore associato di Storia contemporanea presso l’Università degli Studi e-Campus e autore di diversi libri sulla storia del movimento sportivo italiano, con Gli atleti del Duce si propone l’ambizioso obiettivo di presentare uno studio globale e coerente dello sviluppo delle res sportivae a partire dagli ultimi vagiti dell’Italia liberale fino all’uscita di scena di Achille Starace. È, in particolare, premura dell’autore quella di «rivedere i giudizi stereotipati e macchiettistici alimentati nel corso degli anni dalla storiografia» nei confronti del gerarca pugliese e, dunque, farne emergere «il profilo di un efficiente sperimentatore ed innovatore, responsabile in massima parte dello straordinario e originalissimo sviluppo tecnico-organizzativo-diplomatico conosciuto dallo sport italiano all’ombra del littorio» (pp. 11-12).

I due capitoli iniziali analizzano come il fascismo, nei suoi primi stadi, riuscì da subito a inserirsi in quegli spazi lasciati liberi dalle altre forze politiche, inadeguate allo scopo di una «diffusione omogenea, capillare, organica ed efficace all’interno di tutto il Paese della pratica ginnico-sportiva» (p. 23), e a partecipare al dibattito eugenetico così attuale in un’Europa che, dopo il primo conflitto mondiale, aveva necessità di rigenerarsi fisicamente. Viene così ripercorsa la transizione del Coni da comitato dai tratti incerti a centro propulsore dello sport in Italia, attraverso la sua capillarizzazione sul territorio e la sua affiliazione con un regime deciso a farne uno dei bracci della propria affermazione simbolica ed educativa insieme all’Enef, ai Guf e all’Ond. In questa fase, inoltre, si impostò la simbiosi tra il regime e la stampa, sempre più prona ad amplificare il nuovo «codice di comunicazione pubblica e politica» (p. 49) mussoliniano, imprescindibile dallo sfruttamento delle pratiche sportive.

Nel terzo capitolo Landoni pone il focus sull’appropriazione definitiva da parte del fascismo di tutte le pratiche sportive e si nota un progressivo ricorso alle fonti, che vengono integrate nel testo in maniera sempre più consistente. Questa scelta è particolarmente felice per restituire l’importanza dell’aspetto linguistico nella narrazione fascista dello sport a livello istituzionale ed è attuata attraverso l’attenta ermeneutica di una grande quantità di atti, verbali e riviste. La minuziosa ricostruzione dei temi e dei toni utilizzati dalle fonti ufficiali e a stampa traccia in questa sezione il profilo di personaggi decisivi nella massificazione delle pratiche fisiche e nell’irreggimentazione della popolazione italiana, su tutti il dominus dell’Onb, Renato Ricci.

Il quarto capitolo si concentra invece sull’opera ordinatrice di Augusto Turati, che ribadì la centralità del Pnf nella definizione dello sport nazionale, oramai forte di «una piattaforma programmatica» basata su una combinazione «di investimenti in ricerca, tecnologia e specializzazione tecnico-scientifica, ritualizzazione dei grandi eventi sportivi e propaganda» (p. 104). L’autore si dimostra particolarmente sensibile all’indirizzo preso dai giornali, che, al volgere degli anni ’20, divennero i megafoni propagandistici del governo, «funzionali alla narrazione, in patria e all’estero, delle peculiarità, dei primati e degli obiettivi del fascismo» (p. 109), ma anche uno strumento dialettico di una certa rilevanza tra le diverse istanze e personalità interne al Pnf in merito alle politiche sportive.

Il penultimo segmento dell’opera descrive le dinamiche di uno sport fascista ormai maturo, orientato alla spettacolarizzazione del grande evento e al cosiddetto “campionismo”, con l’anno 1929 a fare da spartiacque e da volano verso l’affermazione internazionale degli atleti azzurri alle Olimpiadi di Los Angeles del 1932. È il regno di Arpinati, minacciato dalle ingerenze di Starace e percorso anche dal crescente dibattito operativo riguardo l’igienismo e lo sport femminile, angolo in generale scarsamente illuminato e messo al contrario felicemente in luce da Landoni.

L’ultimo capitolo è il cuore pulsante di un libro dalla struttura volutamente decentrata, a climax ascendente, e rappresenta il vero elemento di originalità del testo. Staccandosi dalla tradizione storiografica più battuta, Landoni ci presenta uno Starace non solo braccio esecutivo delle volontà mussoliniane, ma vero vivificatore dal netto credo verticistico e accentratore, padre dei giochi Littoriali e di una nuova sinergia tra sport e cinema, oltre che risanatore finanziario del Coni e supervisore ancora più attento degli organi di stampa con l’istituzione dell’Ufficio Stampa e Propaganda del massimo ente sportivo. L’autore individua nella campagna d’Etiopia «il momento di pressoché totale coincidenza tra politica e sport», ossia «quella perfetta sutura auspicata dallo stesso Starace che, nel rispetto della lezione clausewitziana, si adoperò immediatamente per indicare nella contesa agonistica tra atleti di diverse nazioni la naturale prosecuzione con altri mezzi e su un altro terreno delle rispettive strategie politiche» (pp. 191-192). Un fine stratega, dunque, e non un bidimensionale alter ego di Mussolini, in grado di dare ancor maggiore rilevanza all’agonismo giovanile (rispetto al quale vi fu uno spigoloso confronto con Ricci) nonché alla diffusione mediatica delle discipline sportive e di aprire le porte, già additate dallo spirito del tempo, all’atletismo femminile, consacratosi a Berlino nel 1936 con le prestazioni di Valla e Testoni.

Landoni chiude l’opera con un bilancio della figura di Starace, normalizzatore riformista e in un certo senso vittima dell’identificazione tra sport e politica da lui stesso perpetrata, e una considerazione volta a spiegare la scelta di non concentrare l’attenzione del testo sull’esclusivizzazione dello sport dopo il 1938, data della promulgazione delle leggi razziali. La svolta razzista del regime fascista viene infatti interpretata come una conseguenza figlia dell’Asse Roma-Berlino, a causa del quale «tutto d’un tratto anni di modernizzatrice e pragmatica politica sportiva perseguita da Starace venivano quindi rinnegati e sacrificati sull’altare della mortifera alleanza con Hitler e delle aberranti teorie razziste e antisemite» (p. 217). Le politiche sportive fasciste degli ultimi anni di regime vengono definite dall’autore come «un delirante sogno di grandezza, eterodiretto, […] tutta un’altra storia, che nulla ha da spartire con quella della genesi, dello sviluppo e della modernizzazione fascista dello sport italiano e che pertanto non può trovare spazio in questa ricostruzione» (p. 219).

In conclusione, si può asserire che il tentativo di Landoni risulti particolarmente originale. La ricognizione della storia politica dello sport del Ventennio è coraggiosa, con tratti di novità in grado di suggerire spunti di ricerca che vanno oltre un approccio meramente compilativo. Inoltre, l’impianto che sostiene i sei capitoli in cui è articolata l’opera è composto precipuamente da fonti a stampa e da atti ufficiali, una scelta che si rivela fondamentale per offrirci le autentiche voci del tempo e per una ricostruzione attentamente cronachistica. Gli atleti del Duce è certamente un’opera preziosa e degna di interesse, frutto di un imponente lavoro di elaborazione di dati e testimonianze, capace di far emergere le dinamiche decisionali, ideologiche e, per così dire, umane dietro le istituzioni sportive in camicia nera.