Correre in camicia nera. La fascistizzazione del ciclismo

Il caso della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (1925-1928)

Alberto Molinari

Società Italiana di Storia dello Sport

Abstract: This contribution aims to illustrate the ideologic, propaganda and sports political directions and motivations that led the Commands of the Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale to strongly support the cycling activity of the soldiers at first, and to drastically reduce it shortly later, following the redefinition of the regime’s sporting arrangements caused by the “Carta dello sport”. In addition to outlining the strictly sporting aspects of MVSN’s activity in the cycling field, this contribution intends to provide some insights that can enrich the overall interpretation of the regime’s relationship with cycling. The analysis of the MVSN’s case allows us to highlight some dynamics of the fascistization of the cycling world, the role played by sport as a way for party officials to obtain visibility, distinction and political credit, and the meaning that the sporting dimension took on in the organizational structure and in the development of the Milizia’s fascist ideology.

Keywords: Fascism, Cycling, Milizia, Giro d’Italia

Introduzione

Secondo un’interpretazione consolidata negli studi storici che hanno analizzato il rapporto tra fascismo e movimento ciclistico, il regime dimostrò un relativo disinteresse nei confronti del ciclismo, privilegiando altre discipline.

Come ha notato Daniele Marchesini, per lo straordinario seguito popolare delle competizioni e dei suoi protagonisti durante il Ventennio il ciclismo si prestava ad essere sfruttato in chiave propagandistica, ma conservava dei tratti “plebei” che contrastavano con la volontà di modernizzazione del fascismo. Il regime tendeva perciò a privilegiare un investimento politico in altri sport più in sintonia con l’ideologia fascista perché rappresentavano la velocità e il rischio, come l’automobilismo, richiamavano valori del mondo classico (l’atletica), esaltavano la virilità e lo scontro fisico (la boxe)[1]. Congeniali alla concezione sportiva del fascismo erano anche gli sport di squadra che si basavano su rapporti gerarchici, sullo spirito di gruppo e sulla subordinazione ad un’autorità, l’allenatore. Negli anni Trenta, con le vittorie della Nazionale ai mondiali del 1934 e del 1938, fu in particolare il calcio ad essere enfatizzato dall’apparato propagandistico del regime.

Enrico Landoni ha evidenziato inoltre un disimpegno del regime anche di ordine economico nei confronti del ciclismo, penalizzato nella programmazione finanziaria del Coni[2]. Del resto, lo stesso Mussolini non amava il ciclismo e sono molto rare le sue immagini in bicicletta, mentre in altri sport il duce si compiaceva di farsi immortalare dai fotografi[3]. Insomma, «ciclismo» non sembra fare «rima con fascismo»[4].

Questa interpretazione, certamente fondata, può essere arricchita, articolata e in parte rivista analizzando le dinamiche e mettendo in luce i profili delle molteplici strutture politico-sportive che costituivano la complessa galassia dello sport fascista, come i gruppi sportivi della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale (Mvsn) che tra il 1925 e il 1928 profusero un notevole impegno per affermarsi in diverse discipline, tra le quali spiccava anche il ciclismo. Tra le legioni della Milizia che si cimentarono nel campo del ciclismo la più importante fu la Iª legione ciclisti, che aveva sede a Mirandola e a Carpi ed era guidata dal console Temistocle Testa, nominato nel 1927 vicepresidente dell’Unione Velocipedistica Italiana, (Uvi), l’organismo federale del movimento ciclistico.

L’analisi dell’attività della Mvsn, dei suoi punti di forza, dei suoi limiti e delle sue contraddizioni, nel contesto della politica sportiva del regime, consente di mettere in luce tra l’altro alcune dinamiche della fascistizzazione del movimento ciclistico, il ruolo dello sport come spazio utilizzato dai gerarchi per acquisire visibilità, prestigio e peso politico, sul piano nazionale e locale, il significato che assunse la dimensione sportiva nella struttura organizzativa e nella declinazione dell’ideologia fascista propria di un organismo come la Milizia, poco indagato negli studi storici sullo sport durante il Ventennio.

La Milizia nello sport

All’indomani della marcia su Roma, con una risoluzione approvata dal Gran Consiglio del Fascismo il 16 dicembre 1922 e convertita in legge con il Regio decreto n. 31 del 14 gennaio 1923, i vertici del Partito nazionale fascista (Pnf) istituirono la Milizia volontaria per la sicurezza nazionale.

Il nuovo organismo da un lato intendeva disciplinare lo squadrismo e limitare l’influenza politica dei “ras”, dall’altro rappresentava un corpo armato al servizio del partito. Oltre al compito della tutela dell’ordine pubblico, la Milizia aveva la funzione di difendere la “rivoluzione fascista” e di realizzare quella “nazione in armi” che compariva tra i punti del programma di San Sepolcro. Reclutata inizialmente fra gli iscritti al Pnf, la struttura rimase di fatto agli ordini di Mussolini anche dopo l’introduzione del regolamento del 4 agosto 1924 che prevedeva per le camicie nere il giuramento di fedeltà al re[5].

L’organizzazione si fondava su una rigida disciplina militare ed era suddivisa in zone, legioni, coorti, centurie, manipoli e squadre. I reparti e i relativi gradi della Milizia corrispondevano alle diverse articolazioni dell’esercito[6].

Con un ulteriore decreto del 4 aprile 1924 la Mvsn assunse il compito di garantire la formazione premilitare, «con l’effetto di aumentare considerevolmente il numero dei giovani partecipanti ai corsi di istruzione» che avevano «alla base l’allenamento fisico e gli esercizi ginnico-sportivi»[7].

Attraverso le dichiarazioni dei gerarchi e gli articoli pubblicati su «Milizia italica» – la rivista dell’organizzazione uscita tra il 1925 e il 1926 –, la Mvsn contribuì inoltre alla costruzione dell’ideologia sportiva fascista.

Nella concezione sportiva della Milizia l’attività fisica assumeva una funzione centrale per addestrare il corpo e indurre un’attitudine alla disciplina e allo spirito di sacrificio al fine di forgiare i militi alle «battaglie» che le legioni erano chiamate ad affrontare all’interno del Paese e mantenerle preparate sul piano militare: «solamente nello sport e con lo sport» si poteva «conservare alle camicie nere d’Italia quello spirito pronto, risoluto e generoso, atto a superare qualsiasi sacrificio, atto ad affrontare serenamente qualsiasi pericolo, quel fisico robusto tagliato a tutte le fatiche, idoneo a tutte le battaglie»[8].

L’impegno della Milizia nel campo dello sport non si limitava all’addestramento fisico previsto nei corsi premilitari. I vertici della Mvsn si proponevano di realizzare «il perfetto inquadramento della Milizia nell’organizzazione sportiva generale della Nazione»[9] e di ritagliarsi uno spazio significativo nella politica sportiva fascista, incitando i giovani militi affinché si cimentassero nelle competizioni agonistiche a tutti i livelli[10].

Un fenomeno popolare come lo sport venne sfruttato per dare visibilità e lustro alle legioni. L’organizzazione promosse inizialmente gare di tiro a segno e di marcia e, a partire dalla metà degli anni Venti, si impegnò in una più vasta e organica attività in molte discipline sportive, come l’atletica, la scherma, la ginnastica, il ciclismo, il motociclismo, la boxe, il canottaggio, l’alpinismo e lo sci. Attraverso i propri gruppi sportivi la Mvsn organizzò gare interne alle singole legioni, campionati di zona e nazionali, partecipò a competizioni promosse da enti e società sportive locali. I militi si iscrissero agli eventi sportivi patrocinati dalle federazioni e in alcuni casi le strutture della Milizia furono incaricate di organizzare campionati federali[11].

Sulle pagine di «Milizia italica» le capacità organizzative, la partecipazione del pubblico alle competizioni e le imprese sportive dei militi venivano enfatizzate per trasmettere un’immagine di efficienza e di forza agonistica delle legioni. La rivista non mancava di sottolineare la presenza di Mussolini alle premiazioni in gare vinte dai militi[12] nonché gli encomi agli atleti vittoriosi o particolarmente tenaci in campo sportivo pubblicati sui Fogli d’ordine dell’organizzazione[13].

Al netto della retorica, del trionfalismo in funzione propagandistica e dell’orgoglio di corpo, a metà degli anni Venti in diversi casi i militi e i gruppi sportivi delle legioni si distinguevano effettivamente nelle competizioni sportive, raggiungendo talora risultati di rilievo in diverse discipline, compreso il ciclismo.

Militi in bicicletta. Il ruolo del ciclismo

In un articolo pubblicato su «Lo Sport fascista», Giovanni Dabbusi, console della 24ª legione Carroccio di Milano, richiamandosi idealmente all’esperienza dei battaglioni volontari ciclisti nella prima guerra mondiale riassumeva così il significato e la funzione che la Milizia attribuiva al ciclismo:

È il nostro sport più vecchio e più diffuso, il meno esigente in fatto di sforzi fisici e il più accessibile in fatto di allenamento. Ebbene, tutti i militi devono essere degli eccellenti ciclisti, bene agguerriti come individui e come squadre. La Milizia deve essere addestrata al ciclismo come alla più elementare abitudine sportiva: garretti d’acciaio su ruote d’acciaio, una cosa sola uomo e macchina. Gli spostamenti di uomini e di masse, richiesti continuamente dalle molteplici necessità della Milizia, richiedono la bicicletta come strumento di velocità[14].

Come si è visto, l’attenzione della Milizia per lo sport, compreso il ciclismo, riguardava anche l’aspetto agonistico. I corridori che provenivano dalla Mvsn iniziarono a partecipare alle competizioni del circuito ciclistico nazionale e locale.

Alcune milizie si avvalevano di ciclisti già formati dal punto di vista sportivo e legati a case produttrici di biciclette che fornivano i materiali per le corse. Tra questi militi, non mancavano atleti di buon livello, come Arturo Bresciani e Giuseppe Pancera, entrambi della 40ª legione Scaligera di Verona, e Leonida Frascaroli della 112ª dell’Urbe[15].

Nel 1926 i militi parteciparono per la prima volta al Giro d’Italia, il palcoscenico che più di ogni altro consentiva di dare visibilità all’attività ciclistica della Milizia. Alla vigilia della competizione «La Gazzetta dello Sport» inviò al comando generale della Mvsn «un caldo telegramma di augurio per la larga partecipazione di giovani appartenenti alle quadrate falangi delle camicie nere»[16]. Si trattava di una cinquantina di ciclisti iscritti come “indipendenti”[17]. Quattro di loro (Arturo Bresciani, Giuseppe Pancera, Battista Gilli, Romolo Lazzaretti) facevano parte di una squadra, la Olympia Dunlop, gli altri rientravano nella numerosa schiera dei corridori definiti “isolati” o “diseredati” che gareggiavano in totale autonomia. A differenza degli altri “isolati”, i militi potevano però contare sul sostegno dei commilitoni lungo la corsa e in ogni città. Le strutture locali della Milizia furono incaricate di fornire ai corridori il supporto logistico offrendo «ai camerati […] in ogni luogo di tappa […] assistenza in campo materiale e morale»[18].

Una classifica del Giro era riservata ai militi. «Milizia italica» mise in palio una Coppa d’argento per il miglior piazzato tra le camicie nere al termine della corsa «volendo così concretamente sostenere la necessità – conclamata dal Duce in Gran Consiglio – di dover incoraggiare tutte le iniziative sportive della Camicie Nere»[19].

La carovana del Giro partì da Milano il 15 maggio 1926. La corsa fu appannaggio di Giovanni Brunero, compagno di squadra di Binda e vincitore del Giro nel 1921 e nel 1922. Una rovinosa caduta del campione di Cittiglio nella prima tappa che gli fece perdere quasi quaranta minuti in classifica e l’andamento altalenante di Girardengo, costretto al ritiro per problemi fisici nella settima tappa, favorirono la regolarità di Brunero che giunse in maglia rosa a Milano il 6 giugno. Binda si riprese classificandosi secondo[20].

Diversi corridori della Milizia conclusero la competizione ottenendo risultati soddisfacenti. Dei quaranta ciclisti che riuscirono a terminare la corsa, quindici erano militi. Bresciani risultò terzo in classifica generale e primo tra gli indipendenti, altre cinque camicie nere si piazzarono tra i primi dodici[21].

I primi tre classificati nella graduatoria riservata ai militi, capaci di distinguersi «in un ramo importantissimo dello sport», furono premiati a Roma dal generale Enrico Bazan, luogotenente generale della Milizia, che colse l’occasione per ribadire l’importanza dello sport inteso in senso fascista come «prova di ardimento» e «di disciplina»[22].

Il 22 giugno, nella sede del Coni, i primi tre classificati al Giro furono premiati da Mussolini: anche il milite Bresciani si presentò al cospetto del capo del governo, dando così ulteriore risalto all’impegno della Mvsn nel ciclismo[23].

La fedeltà al duce si manifestò anche attraverso la corsa a staffette ciclistiche Firenze-Roma che si svolse il 28 ottobre. Giunte nella capitale le squadre delle legioni consegnarono messaggi a Mussolini nell’anniversario della marcia su Roma[24].

La Iª Legione ciclisti e il milite “ignoto”

Nel corso del 1927 l’attività ciclistica della Milizia si intensificò in termini quantitativi, raggiungendo notevoli risultati sul piano agonistico, e assunse un preciso profilo politico-sportivo. Alla realizzazione di questo salto di qualità diede un contributo decisivo Temistocle Testa, fondatore della Iª legione ciclisti.

Nato nel 1897 a Grana Monferrato, in provincia di Asti, da una famiglia di estrazione borghese, Testa si era trasferito a Modena all’inizio degli anni Venti. Squadrista della prima ora, si era iscritto al partito nel 1921 e l’anno successivo era stato eletto vicesegretario del Fascio modenese. Aveva poi guidato le squadre di azione della provincia nei giorni della marcia su Roma e nel 1923 aveva assunto il comando della 73ª legione Boiardo, di stanza a Mirandola[25].

Appassionato di ciclismo, alla fine del 1926 Testa decise di cooptare nella Milizia le due società ciclistiche attive a Carpi – il Pedale carpigiano e la Nicolò Biondo – che vantavano una buona tradizione ciclistica. La prima si era imposta nel campionato italiano juniores nel 1925 e in quello dei dilettanti nel 1926, vinto da Allegro Grandi, e nello stesso anno la seconda aveva vinto la Coppa Italia a squadre. Nel 1926 Grandi si era inoltre classificato quinto ai campionati del mondo su strada per dilettanti.[26]

Le due società vennero fuse in un’unica compagine i cui atleti entrarono a far parte dei ranghi della 73ª Legione, rinominata «Iª legione ciclisti e Nicolò Biondo di Carpi». Completata l’unificazione, Testa si dedicò «alla seconda e più importante fase dell’opera»: «l’organizzazione delle squadre, la preparazione degli atleti e la propaganda»[27].

A Mirandola si trovava il comando della legione, composta di seicento militi, tutti dotati di biciclette. All’interno dell’organismo militare, nella coorte distaccata di Carpi alcuni militi si dedicavano all’attività ciclistica in campo agonistico, come indipendenti, dilettanti e allievi. I militi-atleti – che indossavano in gara una divisa nera con una fascia biancoceleste – risiedevano in caserma ed erano sottoposti alla disciplina militare, svolgendo un’attività sportiva «rigorosamente regolata da disposizioni superiori» sotto la guida dei «decurioni Martini e Tinelli»[28].

Secondo «La Gazzetta dello Sport», tra le squadre ciclistiche quella di Carpi costituiva «un complesso di atleti veramente formidabile al quale ben si conviene la abusatissima qualifica di squadrone poiché non ci sembra che altrove esista un aggruppamento di tanti e così forti corridori», con «quaranta licenziati per le varie categorie […] quasi tutti i migliori emiliani e qualche ottimo elemento di altre regioni»[29].

Dopo avere partecipato al Criterium di apertura e ad alcune competizioni locali, la legione carpigiana si iscrisse alla Milano-Sanremo che rappresentava un’importante occasione per cimentarsi nel ciclismo di alto livello.

La gara si svolse il 3 aprile. A sorpresa, sovvertendo i pronostici che davano Binda e Piemontesi come favoriti, nella competizione si impose Pietro Chesi, milite della Iª legione ciclisti, fino ad allora sconosciuto al pubblico del ciclismo.

Chesi andò in fuga dopo 70 chilometri dalla partenza, accumulando un vantaggio di 20 minuti che riuscì a mantenere anche sulla salita del Turchino. Troppo tardi, il gruppo dei migliori cercò di recuperare terreno. Chesi giunse primo al traguardo con 10 minuti di vantaggio su Binda e Piemontesi, dopo essere stato in fuga per 215 chilometri[30].

Nei commenti alla corsa, la stampa insisteva sulla singolare figura del milite «ignoto»[31], «il modesto ex-dilettante»[32], «il ciclista oscuro venuto da un paesello dell’Appennino toscano e da soli quattro anni capace di andare in bicicletta»[33], «l’oscuro boscaiolo venuto al ciclismo spinto dalla passione più pura»[34].

A Chesi venivano attribuite le virtù del ciclista “puro” e le qualità del ciclismo eroico, contrapposte alla condotta passiva degli «assi, indegni oggi, nella condotta di gara, della fiducia che in essi viene riposta»[35]. «Di statura piuttosto bassa, ma tarchiato e muscoloso»[36], in bicicletta Chesi appariva poco elegante, ma era «tutto audacia, forza e resistenza», «un ardimentoso» che aveva vinto «per lo spirito di battaglia», «per l’amore della lotta», «per la volontà al combattimento e il coraggio alla fatica che difetta[va] ai suoi più celebri maestri»[37].

Le cronache e i commenti mettevano in risalto anche l’appartenenza del ciclista toscano ad una struttura del regime e il significato che assumeva la sua vittoria sportiva in un’ottica fascista.

Al termine della corsa Chesi era stato portato «in trionfo»[38] e scortato in albergo dai «numerosi militi» presenti all’arrivo che avevano «accolto con giustificato compiacimento la vittoria di un loro camerata suggellandola con la frase: “Il Fascismo ormai vince sempre e dappertutto!”»[39]. Testa inviò al direttore de «Il Popolo d’Italia» un telegramma nel quale esaltava l’impresa di Chesi che dimostrava come gli «adolescenti della Milizia» fossero «l’espressione genuina di un rinnovato spirito della nuova Italia» e «Il Giornale d’Italia» colse l’occasione per sottolineare lo «spirito di corpo» della Mvsn, «potente incentivo […] per la conquista della vittoria»[40]. La «Gazzetta dell’Emilia» esprimeva il suo compiacimento per la vittoria del milite toscano, «temprato all’ardimento attraverso le fila del fascismo» e simbolo dello sport in camicia nera[41].

Con i toni roboanti tipici della retorica sportiva fascista, una corrispondenza pubblicata sul giornale emiliano descriveva l’esultanza per la vittoria di Chesi, accolto alla stazione di Modena dalle autorità fasciste locali e da una «vibrante, imponente manifestazione» di una «folla di popolo» e poi festeggiato a Carpi dove Testa lesse un messaggio di Mussolini «di vivo plauso alla Camicia Nera», «provocando una dimostrazione delirante della folla»[42].

Un telegramma giunse a Chesi anche dal segretario del Pnf Augusto Turati – la vittoria del milite era «una nuova affermazione della passione e della volontà fascista che può vincere ogni battaglia» – [43] e il Foglio d’ordini del Pnf pubblicò la notizia della sua vittoria sotto il titolo Spirito fascista[44].

Per Temistocle Testa questa inattesa apoteosi e il plauso delle massime autorità del regime rappresentarono un’opportunità per rafforzare la sua posizione e le sue ambizioni in campo politico-sportivo in vista, come vedremo, della scalata ai vertici dell’Unione velocipedistica italiana.

Le legioni al Giro d’Italia del 1927

Nel corso del 1927 l’esempio della Iª legione e la vittoria di Chesi stimolarono «l’interessamento per lo sport ciclistico fra tutte le altre Legioni della Milizia che in breve volgere di tempo si fusero, o presero sotto la loro diretta protezione, le più rinomate società ciclistiche italiane»[45].

Diverse società e un numero crescente di corridori passarono sotto l’egida della Milizia che conquistò progressivamente l’egemonia in ampi settori del ciclismo, contribuendo ad erodere i residui margini di autonomia dell’associazionismo sportivo. Per i consoli e i comandanti delle legioni si trattava di una nuova occasione per accrescere il loro prestigio sul piano locale e nazionale e legittimare il ruolo della Milizia all’interno delle strutture del regime. Per gli atleti, aderire alla Mvsn significava poter contare sul supporto logistico, organizzativo e tecnico fornito dalle strutture delle legioni.

Tra maggio e giugno i militi ciclisti parteciparono al Giro d’Italia, caratterizzandosi per una presenza articolata e capillare. Su 317 iscritti alla competizione, circa un terzo erano militi in rappresentanza di 45 legioni – più del doppio rispetto alla precedente edizione del Giro –, provenienti da tutte le aree geografiche del paese.

Con la loro presenza le camicie nere contribuivano a dare al Giro un’impronta fascista, attestata anche dal premio di 25.000 lire concesso da Mussolini, in parte destinato ad apposite classifiche riservate agli atleti della Milizia. Commentando l’assegnazione del premio, la redazione de «La Gazzetta dello Sport» si diceva «fiera dell’altissimo riconoscimento del Capo del Governo», segno dell’importanza attribuita dal fascismo alla «missione dello sport» e «della più alta considerazione» nella quale erano tenute «anche le grandi organizzazioni del ciclismo»[46].

La variegata galassia dei militi impegnati nella più importante competizione ciclistica italiana rifletteva il crescente impegno della Mvsn nel mondo delle due ruote. Le legioni più strutturate in questo campo inglobavano ciclisti già affermati mentre le centurie ciclistiche minori si avvalevano di corridori alle prime armi o di secondo piano.

Otto militi appartenevano alla seconda categoria (professionisti juniores)[47] e correvano su mezzi forniti dalle case produttrici di biciclette; una quarantina erano classificati come indipendenti e la restante parte rientrava nel gruppo degli “isolati” ma, come nel Giro del 1926, erano supportati dalle milizie che fornivano assistenza, vitto e alloggio lungo il percorso. Sei legioni erano organizzate come squadre, mentre la maggior parte dei militi correvano individualmente o in gruppi ristretti per le rispettive milizie. Alcuni atleti delle legioni facevano inoltre parte delle sei formazioni che si presentavano al giro come equipes finanziate dall’industria ciclistica[48].

In sede di presentazione del Giro, «La Gazzetta dello Sport» diede ampio risalto alle iscrizioni delle legioni, insistendo sull’importanza del loro sostegno ai giovani che non avevano i mezzi finanziari per sostenere una prova onerosa come il Giro[49]. Secondo il quotidiano sportivo le squadre più competitive erano la 82ª legione Mussolini di Forlì, la Iª legione Sabauda di Torino e «la fortissima squadra della legione di Carpi», formata da undici elementi, che «in poco più di due mesi di attività» aveva già conquistato «un bottino imponente di vittorie individuali e di squadra»[50].

Disputata tra il 15 maggio e il 5 giugno, la XVª edizione del Giro fu dominata da Alfredo Binda. Il campione di Cittiglio si aggiudicò 12 tappe su 15 e rimase sempre in testa nella classifica generale[51].

Dopo il ritiro di Piemontesi al termine della sesta tappa, la corsa fu controllata con facilità da Binda e venne animata dalla rivalità tra i ciclisti che concorrevano per la vittoria nelle classifiche dedicate agli juniores, agli indipendenti e ai “diseredati”, nonché in quelle riservate ai militi. Le cronache sportive sottolineavano l’intraprendenza dei membri della Milizia, tra i più attivi nel vivacizzare la gara[52]. Evidenziando la combattività dei militi, il corrispondente de «La Stampa» notava che in ogni tappa almeno una camicia nera era sempre presente nel gruppo di testa[53]. Il 30 maggio Arturo Bresciani, milite veronese, vinse la tappa Pescara-Pesaro, in una delle rare interruzioni della supremazia assoluta di Binda[54].

La nuova formula del Giro, che aboliva diverse giornate di riposo, aveva reso la corsa particolarmente dura. Al traguardo finale di Milano giunsero solo 80 corridori, tra i quali 44 militi. Nei primi venti posti della classifica generale rientravano 11 membri della Milizia[55].

Tra le camicie nere si distinsero in particolare Giuseppe Pancera, quinto in classifica generale, terzo tra gli juniores, primo nella classifica generale dei militi; Arturo Bresciani, sesto in classifica generale, quarto tra gli juniores; Aleardo Simoni e Luigi Giacobbe, rispettivamente primi e secondi tra gli indipendenti sia nella classifica generale che in quella riservata ai militi. Anche nella classifica finale dei diseredati vinse un milite, Aristide Cavallini. Secondo «La Gazzetta dello Sport» la legione di Carpi si era confermata come la squadra più organica[56].

La fascistizzazione dell’Uvi e l’inquadramento della Milizia nella struttura sportiva del regime

Alle fine del 1927 si aprì una crisi interna all’Unione velocipedistica italiana che portò all’estromissione dello storico presidente George Davidson[57], insieme al Consiglio direttivo, e alla completa fascistizzazione dei vertici del ciclismo italiano.

Il 17 dicembre Davidson e i consiglieri dell’Uvi rassegnarono le dimissioni[58]. Il 21 dicembre l’Ufficio stampa del Pnf comunicò che Turati, dopo essersi consultato con il presidente del Coni Lando Ferretti, aveva nominato nuovo presidente dell’Unione il vice podestà di Milano Ernesto Torrusio[59].

Prontamente, Torrusio rispose con un telegramma a Mussolini che aveva ratificato la sua nomina: «Assumendo presidenza Unione Velocipedistica Italiana assicuro Vostra Eccellenza mia ferma volontà prodigarmi fascisticamente per maggiori fortune ciclismo italiano»[60]. Temistocle Testa assunse la vicepresidenza dell’Uvi[61].

La sede federale fu trasferita da Genova a Milano[62], una scelta particolarmente gradita al direttore de «La Gazzetta dello Sport» Emilio Colombo che salutò con enfasi fascista l’avvento di Torrusio, il «Gerarca che tutti apprezzano e che anche nel vasto e intenso movimento della vita pubblica occupa degnamente uno dei posti di maggiore responsabilità»[63].

Il quotidiano sportivo milanese, che negli anni precedenti non aveva risparmiato pesanti critiche alla dirigenza dell’Uvi, attribuì l’allontanamento di Davidson alla sua gestione accentratrice e personalistica dell’ente[64]. Anche secondo «Il Giornale d’Italia» l’estromissione di Davidson era dovuta all’insofferenza per i suoi atteggiamenti paternalistici e autoritari[65].

Le accuse rivolte al presidente dell’Uvi, fondate o meno che fossero, erano comunque pretestuose rispetto all’obiettivo di fondo della sua esclusione. Il regime intendeva assumere il pieno controllo delle strutture del ciclismo italiano, affidando i ruoli di responsabilità a “uomini nuovi” di provata fede fascista. Davidson, come i dirigenti di cui si era circondato, rappresentava la continuità con lo sport dell’età liberale e con la concezione dello «sport per lo sport», una formula che nell’ottica fascista rappresentava un retaggio del «liberalismo pavido e inconcludente»,[66] superato con l’integrale politicizzazione e irreggimentazione dello sport nelle strutture del fascismo.

Alcune decisioni assunte nelle prime riunioni dell’Uvi guidato da Torrusio – «un intelletto» e «una mano fascista», notava «La Gazzetta dello Sport»[67] – riflettevano chiaramente il nuovo corso del ciclismo, pienamente inquadrato nella politica sportiva del regime. In omaggio al duce, nel calendario annuale delle corse fu introdotta la Forlì-Roma, con partenza ufficiale da Predappio, una delle tre gare valide per il campionato nazionale italiano dei professionisti[68]. Era prevista inoltre una competizione «turistica militare»[69] – marcia ciclistica e tiro a segno – «gara d’impronta squisitamente fascista»[70].

Questo tipo di attività sportiva era particolarmente congeniale alla Mvsn. Il peso politico della Milizia nella gestione del ciclismo era però testimoniato soprattutto dalla scelta di svolgere la fase iniziale della preparazione olimpica a Mirandola, presso la sede della Iª Legione. Per la prima volta, era prevista una preparazione in forma collegiale, guidata dagli uomini di Temistocle Testa[71].

Parallelamente proseguiva il processo di riordino complessivo dello sport fascista, avviato nel dicembre del 1926 con la trasformazione del Coni in un organo alle dirette dipendenze del partito[72].

Il 4 gennaio 1927 Turati convocò Bazan e il presidente del Coni per regolare tramite un accordo i rapporti tra la Mvsn e il massimo organismo sportivo nazionale. L’incontro rispondeva «ad un preciso desiderio del Capo del Governo» il quale vedeva nella Milizia «un potente apporto alle forze dello sport nazionale»[73].

L’intesa ribadiva l’importanza della Mvsn – «una delle maggiori forze per l’incremento sportivo del Paese» – e stabiliva che i gruppi sportivi della Milizia dovevano essere ricondotti nell’ambito delle rispettive federazioni. A loro volta gli organi federali riconoscevano il ruolo della Mvsn anche a livello istituzionale e si impegnavano ad inserire delle specifiche classifiche per i militi. L’obiettivo di fondo dell’intesa era completare «l’inquadramento di tutte le diverse forme di attività sportiva nazionale»[74].

Il nuovo inquadramento della Milizia – come dell’Opera nazionale dopolavoro (Ond) e dei Gruppi universitari fascisti (Guf)[75] – rappresentava la volontà dei vertici del fascismo di realizzare un completo disciplinamento delle attività sportive nell’ambito del Coni e delle federazioni.

Come si evince dal caso del ciclismo, l’accordo non frenò il desiderio di visibilità e autonomia delle legioni più attrezzate dal punto di vista sportivo, capaci nel corso del 1928 di conseguire lusinghieri risultati che incrementarono il prestigio dei rispettivi vertici.

La stagione 1928. L’apogeo dei militi ciclisti

Nel corso del 1928 aumentò il numero delle legioni e dei militi impegnati nel ciclismo. Gli atleti di molte legioni parteciparono a quasi tutte le gare del circuito ciclistico nazionale professionistico e dilettantistico e in numerose corse organizzate a livello locale, risultando in diversi casi vincitori e ottenendo in genere buoni piazzamenti[76].

Le legioni continuavano a cimentarsi in diversi ambiti sportivi, ma, secondo la stampa sportiva, il ciclismo era la disciplina nella quale la Milizia conseguiva i risultati più significativi, sul piano organizzativo e a livello agonistico[77].

La Iª legione rimaneva la squadra più forte della Mvsn in campo ciclistico. Nella stagione 1928, la legione carpigiana vinse 52 premi di rappresentanza nelle gare riservate ai professionisti juniores, agli indipendenti e agli allievi[78].

Alla XVIª edizione del Giro d’Italia, vinto come l’anno precedente con grande facilità da Binda[79], le legioni della Milizia schierarono ben dodici squadre – tra le quali due della legione carpigiana – che concorrevano anche per il Trofeo Magno, una specifica classifica riservata ai militi[80]. Altri ciclisti della Milizia correvano come isolati.

Al termine del Giro, Pancera giunse secondo dopo Binda e dodici militi si classificarono nei primi venti. La legione di Testa con le sue due squadre dominò il Trofeo Magno[81].

Nei mesi successivi l’attenzione si spostò sulle Olimpiadi di Amsterdam e sui campionati del mondo di ciclismo che si sarebbero svolti a Budapest.

La preparazione olimpica dei dilettanti – in buona parte militi della Iª legione – era iniziata in primavera a Mirandola presso la sede della legione, come stabilito dall’Uvi. La «prima applicazione in Italia dei metodi di allenamento collegiale per i corridori ciclisti», condotti sotto la guida del tenente Martini, veniva considerata dalla stampa sportiva esemplare per efficienza e disciplina. «Raccolti in un piccolo centro, lontani da ogni distrazione», i giovani atleti conducevano «una vita sana, metodica, conforme alle migliori norme della tecnica ciclistica e dell’igiene»[82]. In giugno il gruppo dei preolimpionici si trasferì nella Villa Mirabello, all’interno della Reggia di Monza, per completare la preparazione[83].

Per le prove su strada i vertici del ciclismo italiano contavano soprattutto su Grandi tra i dilettanti, scelto sia per Amsterdam che per Budapest, e tra i professionisti su Binda e Girardengo, considerati favoriti nei mondiali.

Il 6 agosto a Amsterdam il quartetto azzurro – formato da Mario Lusiani, Cesare Facciani e da due militi della 23ª legione del Mincio, Luigi Tasselli e Giacomo Gaioni – vinse la medaglia d’oro nella prova ad inseguimento a squadre[84]. Il giorno successivo Grandi si classificò quarto nella corsa su strada[85].

Le due gare dei mondiali su strada di Budapest per professionisti e per dilettanti si svolsero in contemporanea il 16 agosto. Nella prova dei professionisti la rivalità tra Costante Girardengo e Alfredo Binda spinse i due campioni a controllarsi reciprocamente senza incidere sulla corsa, tanto da ritirarsi una volta tagliati fuori dalla vittoria finale. Rientrati in Italia, furono accolti da un’ondata di sdegno. Per «non avere difeso con fede e volontà il prestigio dello Sport ciclistico Italiano», l’Uvi comminò ad entrambi una squalifica di sei mesi[86], poi ridotta a tre per consentirne la partecipazione alle classiche di fine stagione. Anche la stampa sportiva attaccò i «disertori» di Budapest che avevano messo in luce le «deviazioni» del «campionismo»[87].

Per contrasto rispetto alla débâcle di Binda e Girardengo, i commentatori sportivi esaltarono «il fulgido splendore» del milite Grandi, vincitore nella prova mondiale dei dilettanti[88]. La deludente prova dei due «assi», che aveva suscitato «nel mondo sportivo una indignazione sconfinata», era stata «compensata dal trionfo di Grandi»[89].

Come era accaduto dopo la vittoria di Chesi alla Milano-Sanremo dell’anno precedente, la stampa si esercitò in tutti i registri della retorica sportiva fascista per enfatizzare l’impresa di Grandi, descrivere il suo ritorno «trionfale» a Carpi e dare il massimo risalto alla figura di Testa[90].

L’importanza assunta dalla legione ciclistica e dal suo console era testimoniata anche dalla costruzione di un impianto polisportivo di alto livello nella cittadina emiliana, degno della «passione sportiva di Carpi» che aveva «tradizioni antiche e gloriose e recenti affermazioni clamorose, specialmente in materia di ciclismo, per merito della Iª Legione ciclisti-Nicolò Biondo»[91].

La «fascistissima iniziativa» promossa dal podestà di Carpi e dal console Testa «con il pieno consenso e plauso dell’Uvi»[92] fu accompagnata da polemiche legate alla raccolta dei fondi per la realizzazione dell’opera. I cittadini furono chiamati a fare «un’oblazione volontaria» che si configurava però di fatto come una tassa riscossa dall’Esattoria comunale. Come riferiva in una nota al prefetto di Modena il comandante dei carabinieri di Carpi, la tassa aveva «prodotto in Carpi un vivo malcontento in tutte le classi dei cittadini, specie tra gli operai» che «in un momento di crisi e di disoccupazione […] si ved[evano] tassati per un’opera che essi, nella loro mentalità, non giudica[vano] indispensabile né urgente[93].

Il 21 ottobre Leandro Arpinati, presidente della Federazione italiana giuoco calcio, e il presidente dell’Uvi Torrusio parteciparono all’inaugurazione della struttura[94]. L’impianto comprendeva «una pista sopraelevata in cemento armato per le biciclette e le motociclette, un campo di football, una pista podistica, oltre i campi riservati per l’atletica leggera e il tennis»[95].

Per le strade di Carpi venne affisso un manifesto nel quale si annunciava che il segretario del Pnf Turati aveva elogiato «lo slancio con cui i cittadini e i fascisti di Carpi» avevano «provveduto alla costruzione del magnifico campo sportivo che contiene la più perfetta pista per corse ciclistiche e motociclistiche di tutto il Regno»[96].

Il declino della Milizia nello sport. Lo scioglimento delle legioni ciclistiche

Nell’ultimo scorcio del 1928 il ruolo della Milizia nello sport agonistico subì un drastico ridimensionamento, nell’ambito di un ulteriore e decisivo riassetto dell’organizzazione sportiva fascista.

Le criticità che ancora permanevano negli organismi sportivi e la necessità di un loro rapido superamento furono messe in evidenza in un’importante serie di articoli di Rodolfo Pezzoli pubblicati su «Il Littoriale», fondamentale punto di riferimento tecnico e politico per il mondo sportivo fascista. Nel quadro di un’ampia disanima dello sviluppo dello sport italiano e dei suoi limiti, frutto secondo Pezzoli della cattiva applicazione di principi in sé validi, il giornalista considerava indispensabile dare unità di indirizzo al sistema sportivo e nel contempo definire specifici obiettivi per le istituzioni che operavano in questo campo.

A proposito della Milizia, Pezzoli riteneva che il desiderio dei gerarchi di impegnare l’organizzazione anche nel campo dello sport fosse stato interpretato «non come invito a esercitare i militi con giochi sportivi, ma addirittura come incentivo a trasformare in militi degli uomini già indossanti la maglia di altre società, per farle gareggiare e vincere sotto i colori della Milizia»[97]. Pezzoli segnalava in sostanza una complessiva «sovraesposizione sportiva» della Milizia, come dell’Ond e dell’Opera nazionale balilla (Onb), accusava questi organismi «di esercitare una concorrenza sleale nei confronti delle società sportive» e auspicava che l’attività sportiva agonistica fosse posta sotto il controllo esclusivo del Coni[98].

Mentre il regime si accingeva a mettere mano ad un nuovo riordino del comparto sportivo che andava nella direzione indicata da Pezzoli, il primo significativo segnale di un ritiro della Milizia dallo sport agonistico venne dalla legione ciclistica di Testa. Il 10 dicembre il comando della legione comunicava che «la sua missione di reclutamento, di incitamento e di propaganda» poteva dirsi conclusa. Dal 1° gennaio 1929 la Iª legione avrebbe sciolto le proprie squadre, limitandosi «alla preparazione degli allievi non federati»[99].

Chiudendo l’esperienza della legione ciclistica, Testa era evidentemente al corrente delle decisioni che stavano maturando all’interno delle gerarchie dello sport fascista e se ne faceva, anticipatamente, zelante interprete.

Il 19 dicembre i presidenti federali furono convocati a Roma. Turati, in qualità di segretario del Pnf e di commissario del Coni, annunciò l’imminente trasferimento a Roma degli uffici delle federazioni e anticipò in parte i contenuti della Carta dello Sport, ufficializzati il 30 dicembre[100].

La Carta portava a compimento la riorganizzazione in senso fascista dello sport, definendo «i compiti attribuiti ai vari enti», i «rapporti tra di essi» e i «limiti dei rispettivi campi di azione»[101]. L’attività sportiva promossa dagli organi del regime – l’Onb, l’Ond, i Guf e la Milizia – veniva contenuta, a favore della filiera costituita dalle società, dalle federazioni e dal Coni[102].

Alla Mvsn restava affidata «l’educazione fisica delle Camicie Nere, nella forme e carattere esclusivamente militare e di competizioni collettive (gare di reparti o di squadre)». I militi che intendevano partecipare a gare federali dovevano essere affiliati al Coni[103]. Una successiva disposizione dell’ente, con la quale veniva introdotta la tessera unica per gli atleti, precisava che le federazioni non potevano accettare affiliazioni di gruppi sportivi della Milizia e di giovani che si presentavano come militi[104].

Di fatto, l’attività nel ciclismo delle legioni scemò in breve tempo finendo per ridursi alle sole staffette ciclistiche[105].

A titolo individuale, alcuni militi continuarono a partecipare alle corse. Nella prima metà degli anni Trenta la Mvsn ritornò in auge grazie ai successi della camicia nera Learco Guerra, divenuto uno degli atleti simbolo del fascismo.

Quanto alla squadra carpigiana, la società ciclistica riprese il nome originario e continuò l’attività sportiva con notevole difficoltà. La Milizia aveva utilizzato la Nicolò Biondo per le sue finalità politico-sportive, salvo poi abbandonarla improvvisamente a sé stessa. Priva di supporto organizzativo, tecnico e di mezzi finanziari, la società andò incontro ad un rapido declino. Negli anni Trenta fu costretta «ad una quasi inattività»[106].

Tra gli atleti più noti della squadra, Grandi fece una discreta carriera tra i professionisti nella prima metà degli anni Trenta. Chesi continuò a correre per pochi anni, senza risultati di rilievo. Rimase convintamente fascista sino alla fine. Accusato di essere delatore e collaboratore della Banda Carità di Firenze, tristemente nota per l’uso della tortura, fu ucciso dai partigiani nella città toscana l’11 agosto 1944, in circostanze mai del tutto chiarite[107].

Temistocle Testa negli anni Trenta fu nominato prefetto prima a Perugia e poi a Fiume. Sul confine orientale fu responsabile dell’internamento in campo di concentramento di quasi novecento slavi, di numerosi rastrellamenti e della rappresaglia compiuta il 12 luglio 1942 nel villaggio di Podhum che costò la vita a più di cento persone[108]. Aderì poi alla Repubblica Sociale Italiana. Al termine del secondo conflitto mondiale venne assolto dall’accusa di crimini di guerra. Morì il 17 luglio 1949, presumibilmente suicida[109].

Conclusioni

Alla fine del 1928 si chiuse una stagione che aveva visto la Mvsn svolgere un ruolo significativo nel mondo del ciclismo.

Per circa quattro anni l’organizzazione investì notevoli energie sia nelle competizioni che nelle strutture del ciclismo, uno sport che venne sostenuto e nello stesso tempo sfruttato per scopi politici e propagandistici e per soddisfare le ambizioni dei vertici della Milizia.

In una fase di transizione nella definizione dell’ordinamento sportivo fascista, la Mvsn contribuì alla fascistizzazione del ciclismo e riuscì a ritagliarsi uno spazio rilevante nella disciplina sportiva più seguita in Italia. La partecipazione alle gare dei militi che correvano con la divisa nera rappresentava un elemento, anche simbolico, che contribuiva a caricare di significati politici la dimensione sportiva e i successi delle legioni potevano essere strumentalizzati per veicolare la concezione fascista dello sport.

Dopo il compiuto riassetto dello sport fascista realizzato in base alle direttive imposte con la Carta dello sport, il repentino abbandono del ciclismo da parte della Milizia fece emergere i limiti di un’operazione che si era fondata principalmente sull’assorbimento di società sportive preesistenti e sull’arruolamento di corridori già in attività in funzione del rafforzamento delle legioni sul piano agonistico. Come si è visto nel caso della Iª legione ciclisti, l’inquadramento nella Milizia aveva portato vittorie e prestigio, ma questa esperienza non era riuscita a sedimentarsi e a consentire alla società sportiva che la legione aveva inglobato di continuare con successo il suo percorso sportivo.

Ciò non toglie che nel complesso, sia pure per una stagione relativamente breve, un settore importante dell’apparato fascista come la Milizia fu coinvolta in modo tutt’altro che occasionale nel ciclismo, considerato uno sport rilevante anche nell’ottica dell’ideologia sportiva propria del fascismo. Vista in questa prospettiva, l’interpretazione secondo la quale il ciclismo fu per il regime una disciplina sportiva marginale può essere in parte rivista. Un approfondimento dell’analisi su altri attori, strutture e risvolti del rapporto tra fascismo e ciclismo meno indagati storicamente potrebbe fornire ulteriori contributi per una lettura articolata del mondo delle due ruote all’epoca del regime.



[1] D. Marchesini, L’Italia del Giro d’Italia, Bologna, il Mulino, 2003, p. 106. Cfr. anche Id., Fascismo a due ruote, in Sport e fascismo, a cura di M. Canella, S. Giuntini, Milano, FrancoAngeli, 2009, ed. Kindle, pos. 928-1072; P. Dietschy, S. Pivato, Storia dello sport in Italia, Bologna, il Mulino, 2019, pp. 101-102. L’idea della «coloritura eccessivamente plebea» del «messaggio affidato al ciclista», poco gradita dal regime, era stata espressa per la prima volta in G. P. Ormezzano, Storia del ciclismo, Milano, Longanesi, 1980, p. 65.

[2] E. Landoni, Regime e ciclismo: ai margini o ai vertici dello sport nazionale?, in Il Giro d’Italia e la società italiana a cura di G. Silei, Manduria-Bari-Roma, Piero Laicata Editore, 2010, p. 145.

[3] M. Impiglia, Mussolini sportsman, [https://www.academia.edu/34930959/MUSSOLINI_SPORTSMAN_Marco_Impiglia] (ultima consultazione 20 dicembre 2021).

[4] M. Franzinelli, Il Giro d’Italia. Dai pionieri agli anni d’oro, Milano, Feltrinelli, 2015, p. 101.

[5] Sulla storia della Mvsn cfr. E. Valleri, Dal partito armato al regime totalitario: la Milizia, in «Italia contemporanea», a. XXXII, n. 141 (1980), pp. 31-60; V. Ilari, A. Sema, Marte in orbace. Guerra, esercito e Milizia nella concezione fascista della nazione, Ancona, Nuove Ricerche, 1988; G. L. Gatti, La quarta forza armata di Mussolini: la Milizia Volontaria di Sicurezza Nazionale, in Le forze armate e la nazione italiana (1915-1943), a cura di R. H. Rainero, P. Alberini, Roma, [S.I.], 2004, pp. 107-174; C. Poesio, Reprimere le idee, abusare del potere. La Milizia e l’instaurazione del regime fascista, Roma, Aracne, 2010.

[6] Cfr. le tabelle sulle equivalenze dei gradi e dei reparti contenute in ivi, pp. 14-16.

[7] P. Renna, Lo sport fascista e le Forze armate, in Canella, Giuntini, Op. cit., pos. 5706. A partire dal 1927 la Milizia si rafforzò grazie all’arruolamento dei giovani che provenivano dall’Opera nazionale balilla e dalle Avanguardie giovanili fasciste. Si veda E. Bazan, La Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, La civiltà fascista illustrata nella dottrina e nelle opere, a cura di G. L. Pomba, Torino, Utet, 1928, p. 586.

[8] La meravigliosa efficienza e l’organizzazione dei gruppi sportivi della Legione Leonessa, in «Milizia italica», a. II, n. 43, 24 ottobre 1926. Il Console della legione bresciana era Augusto Turati, segretario generale del Pnf.

[9] G. Dabbusi, Lo sport nella Milizia, in «Lo Sport fascista», a. I (1928), n. 1, p. 18.

[10] Milizia e sport, in «Milizia italica», a. II, n. 22, 30 maggio 1926.

[11] Cfr. la rubrica dedicata da «Milizia italica» alle attività sportive delle legioni.

[12] Il Duce premia i vincitori dello “Scudo Nelli”, in «Milizia italica», a. II, n. 30, 25 luglio 1926.

[13] Fogli d’ordine del Comando Generale della Milizia. Encomi solenni. Gare sportive, ivi, a. II, n. 4, 24 gennaio 1926.

[14] Dabbusi, Op. cit., p. 19.

[15] Dopo un buon esordio nei dilettanti, Bresciani e Pancera ottennero lusinghieri piazzamenti nelle corse sia in linea che a tappe. Frascarelli fu il miglior corridore espresso dal ciclismo centro-meridionale negli anni Venti. Cfr. [http://www.museociclismo] (ultima consultazione 20 gennaio 2022).

[16] La M.V.S.N per i “girini”, in «La Gazzetta dello Sport», 16 maggio 1926.

[17] I corridori indipendenti costituivano una categoria intermedia tra i professionisti e i dilettanti. A differenza dei pochissimi professionisti, «che facevano dell’esercizio dello sport ciclistico la loro professione esclusiva» e venivano stipendiati da una marca costruttrice di biciclette, gli indipendenti potevano ricevere solo «premi in oggetti d’arte o in denaro», cfr. Secondo Congresso dei tecnici dell’UVI, ivi, 15 febbraio 1926.

[18] La premiazione delle camicie nere, ivi, 14 luglio 1926.

[19] “Milizia fascista”. Il suo passato e il suo avvenire, in «Milizia italica», a. II, n. 52, 26 dicembre 1926.

[20] Giovanni Brunero ha vinto il XIV Giro d’Italia e l’ambito premio offerto dal capo del Governo, in «La Gazzetta dello Sport», 7 giugno 1926.

[21] Cfr. le classifiche riportata da «La Gazzetta dello Sport» del 7 giugno 1926. Dopo Bresciani, gli altri migliori classificati erano Giovanni Battista Gilli, Natale Gremo, Ezio Cortesia, Romolo Lazzaretti, Giuseppe Pancera.

[22] La premiazione delle camicie nere, Op. cit.

[23] La solenne consegna dei premi del Capo del Governo ai vincitori del Giro d’Italia, in «La Gazzetta dello Sport», 23 giugno 1926.

[24] La squadra della Legione Euganea vince la staffetta Firenze-Roma, in «Milizia italica», a. II, n. 45, 7 novembre 1926.

[25] U. Pellini, Temistocle Testa, in «Ricerche storiche», a. XXXX (2006), n. 101, pp. 46-47.

[26] Fotostoria del ciclismo carpigiano, Carpi, Gruppo Fotografico, 1977, pp. 2-3.

[27] G. Giardini, La Iª Legione ciclisti: vivaio di campioni, in «Lo Sport fascista», a. II (1929), n. 1, p. 69.

[28] La fortissima squadra della Legione di Carpi, in «La Gazzetta dello Sport», 12 maggio 1927.

[29] Ibidem.

[30] E. Colombo, Colpevoli o incapaci?, ivi, 4 aprile 1927.

[31] I. Cappa, Il trionfo di “Ignoto”, ivi, 21 aprile 1927.

[32] G. Tonelli, La Milano San Remo vinta di sorpresa da una nuova recluta del professionismo, in «La Stampa», 4 aprile 1927.

[33] Sorpresa nella Milano-San Remo, in «Corriere della Sera», 4 aprile 1927.

[34] Colombo, Op. cit., Chesi era nato il 24 novembre 1902 a Gambassi, un borgo della Val d’Elsa. Dopo pochi anni di scuola elementare, aveva seguito il padre nel lavoro di boscaiolo. All’inizio del 1927 Testa, impressionato dalle buone prove di Chesi come dilettante, aveva invitato il ciclista toscano ad entrare nella Iª Legione offrendogli l’opportunità di esordire tra gli indipendenti. Cfr. M. Parrini, Pietro Chesi. Il ciclista in camicia nera, Milano, Mursia, 2014, pp. 23-25, 34-38.

[35] Colombo, Op. cit.

[36] Sorpresa nella Milano-San Remo, Op. cit.

[37] Colombo, Op. cit.

[38] La Milano Sanremo. L’inattesa vittoria di Chesi, in «Il Giornale d’Italia», 4 aprile 1927. Cfr. anche La XX Milano-Sanremo vinta da una giovane Camicia Nera, in «Il Popolo d’Italia», 6 aprile 1927.

[39] Un arrivo perfetto, in «La Gazzetta dello Sport», 4 aprile 1927.

[40] Milizia nazionale e sport, in «Il Giornale d’Italia», 7 aprile 1927.

[41] Come le due “camicie nere” raggiunsero la vittoria, in «Gazzetta dell’Emilia. La Provincia di Modena», 4-5 aprile 1927.

[42] Carpi accoglie trionfalmente il vincitore della XX Milano-Sanremo, ivi, 6-7 aprile 1927.

[43] Un telegramma di S. E. Turati, ivi, 5-6 aprile 1927.

[44] Archivio di Stato di Modena (ASM), Prefettura, Ufficio di Gabinetto 1862-1897, Atti generali, 1927, Serie 02, busta 287, Partito Nazionale Fascista, Foglio d’Ordini n. 29, 29 aprile 1927, Spirito fascista.

[45] Giardini, Op. cit., p. 70.

[46] Il Capo del Governo, Duce del Fascismo, per il XV Giro d’Italia, in «La Gazzetta dello Sport», 27 aprile 1927. Il premio era così ripartito: 10.000 lire al vincitore del Giro, 5.000 al primo della Milizia, 3.000 al primo degli indipendenti e dei dilettanti, 2.000 ai primi della Milizia tra gli indipendenti e tra i dilettanti.

[47] Rientravano in questa categoria Giuseppe Pancera e Arturo Bresciani, entrambi della 40ª Legione Euganea, Marco e Battista Giuntelli (88ª di Asti), Michele Gordini (82ª Mussolini di Forlì), Enea Dal Fiume (68ª di Imola), Secondo Martinetto (Iª Sabauda di Torino), Antonio Liguori (145ª di Sorrento) e Raffaele Perna (138ª di Napoli).

[48] La Bianchi, la Aliprandi, la Prina, la Sivocci, la Berettini e la Gloria.

[49] E. Colombo, Un nome tra quelli di un esercito di aspiranti, in «La Gazzetta dello Sport», 14 maggio 1927.

[50] La fortissima squadra della legione di Carpi, ivi, 12 maggio 1927. I militi carpigiani montavano macchine fornite da diverse case ciclistiche.

[51] B. Conti, La grande storia del ciclismo, Torino, Graphot editrice, 2016, p. 116.

[52] In più occasioni i militi ciclisti si guadagnarono i titoli della prima pagina de «La Gazzetta dello Sport».

[53] G. Tonelli, Binda vince in volata, in «La Stampa», 18 maggio 1927.

[54] Id., La tappa Pescara-Pesaro vinta da Bresciani, ivi, 31 maggio 1927.

[55] La classifica finale è riportata da «La Gazzetta dello Sport» del 6 giugno 1927.

[56] V. C., Tra le fila dei “minori”, ivi, 7 giugno 1927.

[57] Nato nel 1865 a Letham, in Scozia, nel 1873 Davidson si trasferì a Genova con la famiglia, attiva nel settore delle forniture navali. Appassionato di sport, fu tra i fondatori della Società Ginnastica Cristoforo Colombo. Nel 1886, su biciclo, vinse il campionato italiano su strada. Lasciò presto l’attività agonistica per lavorare nell’impresa del padre. Tra il 1913 e il 1920 fu presidente del Genoa Cricket and Football Club. Assunse la presidenza dell’Uvi nel 1915. Cfr. La scomparsa di papà Geo. L’atleta e il dirigente, ivi, 22 febbraio 1956.

[58] La crisi dell’U.V.I in pieno sviluppo. Un ordine del giorno al C.O.N.I., ivi, 19 dicembre 1927.

[59] L’On. Torrusio presidente dell’U.V.I, in «Corriere della Sera», 22 dicembre 1927.

[60] Il nuovo presidente dell’U.V.I. all’opera, in «La Gazzetta dello Sport», 22 dicembre 1927.

[61] Il nuovo consiglio dell’U.V.I., in «La Stampa», 24 dicembre 1927.

[62] Il nuovo Consiglio dell’U.V.I. insediato, in «La Gazzetta dello Sport», 28 dicembre 1927.

[63] e. c., L’on. Ernesto Torrusio, vice-Podestà di Milano, succede a Giorgio Davidson nella presidenza dell’U.V.I., ivi, 23 dicembre 1927.

[64] La crisi dell’U.V.I. in pieno sviluppo, Op. cit.

[65] L’Unione velocipedistica sarà traferita a Milano, in «Il Giornale d’Italia», 21 dicembre 1927.

[66] L. Ferretti, Il libro dello sport, Roma-Milano, Libreria del Littorio, 1928, p. 147.

[67] Il nuovo consiglio dell’U.V.I. insediato, Op. cit.

[68] La seduta plenaria del Direttorio dell’U.V.I., in «La Gazzetta dello Sport», 24 gennaio 1928.

[69] La prima seduta dell’U.V.I. a Milano, in «Corriere della Sera», 28 dicembre 1928.

[70] M. Rossi, Bicicletta e fucile, in «Lo Sport fascista», a. I, n. 4, settembre 1928, p. 53.

[71] Il fervido inizio d’attività del nuovo Direttorio dell’U.V.I., in «La Gazzetta dello Sport», 29 dicembre 1927.

[72] L’inquadramento ufficiale dello sport fra le forze fasciste della nazione, in «La Gazzetta dello Sport», 6 dicembre 1926. Su questo passaggio cfr. F. Fabrizio, Sport e fascismo. La politica sportiva del regime 1924-1936, Rimini-Firenze, Guaraldi, 1976, pp. 19-20.

[73] Un accordo tra la Milizia e il Coni, in «La Stampa», 5 gennaio 1928.

[74] Per la disciplina dello sport. L’accordo C.O.N.I. - M.V.S.N. e il suo significato, in «La Gazzetta dello Sport», 6 gennaio 1928.

[75] In precedenza erano stati siglati specifici accordi tra Coni, federazioni e Ond e Guf, cfr. Gli accordi fra le federazioni sportive e il Dopolavoro, ivi, 14 luglio 1927; A Roma C.O.N.I. e G.U. Fascisti hanno fissato il patto per l’universitario sportivo, ivi, 23 dicembre 1927.

[76] Dallo spoglio de «La Gazzetta dello Sport» e de «Il Littoriale», le legioni risultano iscritte a oltre due terzi delle competizioni locali. Nelle “classiche” del 1928 si distinsero in particolare Luigi Giacobbe, Giuseppe Bresciani e Michele Mara. Tra gli indipendenti, il milite Mario Bianchi risultò primo della categoria per numero di vittorie. Allegro Grandi dominò tra i dilettanti. Cfr. i riassunti della stagione ciclistica 1928 pubblicati su «La Gazzetta dello Sport», 7,19, 29 novembre, 5, 12-13 dicembre 1928.

[77] V. C., Cento forti e animose camicie nere, i migliori regionali, iniziano oggi il Giro di Lombardia della Milizia, ivi, 18 aprile 1928. Per il 1928 Testa aveva trovato un accordo per fare correre i suoi migliori ciclisti con la Bianchi, cfr. Il programma dei bianco celesti per la stagione 1928, in «Il Littoriale», 2 febbraio 1928.

[78] L’attività della I Legione ciclisti nella stagione 1927-1928, ivi, 8 dicembre 1928.

[79] Ormezzano, Op. cit., p. 73.

[80] Le squadre concorrenti al Trofeo Magno, in «La Gazzetta dello Sport», 12 maggio 1928.

[81] Il trionfale successo della I Legione ciclisti per il Trofeo Magno e la vivace contesa fra i cento diseredati, ivi, 5 giugno 1928.

[82] V. Cottarelli, L’ "allevamento” di Mirandola, ivi, 15 marzo 1928; La grande preolimpionica di Carpi, in «Il Littoriale», 8 maggio 1928.

[83] V. C., Ai quartieri di allenamento degli olimpionici, in «La Gazzetta dello Sport», 27 giugno 1928.

[84] E. Colombo, I ciclisti vittoriosi!, ivi, 7 agosto 1928.

[85] C. Grattarola, La dura battaglia sulle strade olandesi, in «Il Littoriale», 8 agosto 1928.

[86] Comunicato U.V.I., in «La bicicletta. Rivista ufficiale dell’Unione Velocipedistica Italiana», a. I (1928), n. 7, p. 46.

[87] E. Colombo, La grave punizione, in «La Gazzetta dello Sport», 22 agosto 1928; Vittorio Varale, Ben fatto, in «Il Littoriale», 22 agosto 1928; Guerino, Gira e Binda, in «Guerin sportivo», n. 34, 5 settembre 1928.

[88] Contro la débâcle di Binda, di Girardengo e di Belloni il fulgido splendore del carpigiano Grandi e di Michele Mara, in «La Gazzetta dello Sport», 17 agosto 1928.

[89] A. Mignani, Ciclismo, in «Lo Sport fascista», a. I (1928), n. 3, p. 47.

[90] L’arrivo di Allegro Grandi, in «Gazzetta dell’Emilia. La provincia di Modena», 20-21 agosto 1928; Grandi festeggiato a Carpi, in «Il Littoriale», 21 agosto 1928.

[91] ASM, Archivio della Prefettura, Ufficio di Gabinetto 1862-1897, Atti generali, 1928, Serie 02, busta 305, f. “Carpi. Casa del Fascio e Polisportivo”, lettera del Commissario Giella al Questore di Modena, 20 dicembre 1927.

[92] D. Conelli, Tipo di velodromo moderno, in «La bicicletta. Rivista ufficiale dell’Unione Velocipedistica Italiana», a. I (1928), n. 1, p. 12.

[93] Il documento è conservato in ASM, Archivio della Prefettura, Ufficio di Gabinetto 1862-1897, Atti generali, 1928, Serie 02, busta 305.

[94] G. G., Lo Stadio di carpi inaugurato da Leandro Arpinati, in «Il Littoriale», 22 ottobre 1928.

[95] Il nuovo campo polisportivo di Carpi, in «La Gazzetta dello Sport», 20-21 ottobre 1928.

[96] Il manifesto è conservato in Archivio Storico del Comune di Carpi, filza 44/I, Costruzione Polisportivo e Casa del Fascio. In realtà la pista presentava significativi errori di costruzione che emersero in occasione dei campionati nazionali del 1929, cfr. Guido Giardini, Un modesto bilancio, in «Il Littoriale», 17 giugno 1929.

[97] R. Pezzoli, Riordinare l’organizzazione dello sport, ivi, 10 settembre 1928.

[98] E. Landoni, Gli atleti del duce. La politica sportiva del fascismo 1919-1939, Milano-Udine, Mimesis, 2016, p. 123.

[99] La I Legione ciclisti scioglie le proprie squadre, in «La Gazzetta dello Sport», 11 dicembre 1928.

[100] La disciplina delle Organizzazioni sportive. Disposizioni del Segretario del Partito, in «Il Popolo d’Italia», 31 dicembre 1928.

[101] Il testo della Carta dello Sport, in «Lo Sport fascista», a. II (1929), n. 1, p. 5

[102] Sul riordino generale dell’organizzazione sportiva italiana definito dalla Carta dello Sport cfr. Landoni, Gli atleti del duce, cit., pp. 125-127.

[103] Il testo della Carta dello Sport, «Lo Sport fascista», a. II (1929), n. 1, p. 5.

[104] La tessera unica del Coni nelle disposizioni di S. E. Turati, in «Il Littoriale», 31 gennaio 1929.

[105] Cfr. A. Teruzzi, La Milizia delle camicie nere e le sue specialità, Milano, Mondadori, p. 48.

[106] Fotostoria del ciclismo carpigiano, Op. cit., p. 3.

[107] Parrini,Op. cit., pp. 144-155.

[108] Ivi, pp. 48-51.

[109] E. Curti, Il chiodo a tre punte. Schegge di memoria della figlia segreta del Duce, Pavia, Iuculano editore, 2003, p. 118.